Sono fluorescenti, stampati in 3D e aiuteranno a tutelare l’ambiente, i primi semi robotici costruiti in Italia per controllare la temperatura del suolo senza fili né circuiti elettronici. Sono stati progettati e realizzati all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova dal gruppo di Barbara Mazzolai, alla quale si devono i primi robot-pianta. La ricerca, condotta in collaborazione con il Leibniz Institute for New Materials, è sostenuta da fondi dell'Unione Europea nell’ambito del progetto I-Seed, coordinato dall'Iit. Descritti sulla rivista Science Advances, i semi artificiali appartengono alla famiglia dei robot soffici, sono cioè realizzati con materiali non rigidi.
Si chiamano Acer i-Seed e e sono stampati in 3D in modo da imitare i semi naturali di una specie di acero originaria dell'Europa, l’Acer campestre, che quando sono maturi si staccano dalla pianta e vengono dispersi dal vento su grandi distanze. La loro particolare forma, imitata dai semi robotici, è tale che mentre cadono si muovono in modo simile a quanto fa una pala di elicottero: un movimento che si pensa abbia ispirato Leonardo Da Vinci nella progettazione della sua vite aerea. Grazie all’autorotazione, la velocità di discesa del seme si riduce, permettendogli rimanere in aria per più tempo e aumentando così le possibilità di dispersione con il vento.
Realizzati con un materiale biocompatibile e compostabile, i robot-semi possono essere seminati su aree molto vaste con l’aiuto dei droni. "Questo studio dimostra che imitare le strategie degli esseri viventi o le strutture biologiche e replicarle nelle tecnologie robotiche può essere un passaggio cruciale per ottenere innovazione a basso impatto ambientale, in termini di energia utilizzata e di inquinamento generato", commenta Barbara Mazzolai, che all’Iit è direttore associato per la Robotica e direttore del Laboratorio di Robotica Soft Bio-ispirata.
I semi sono fatti di acido polilattico e contengono particelle fluorescenti non tossiche, sensibili alla temperatura. Le variazioni della fluorescenza possono essere rilevate dai droni, in modo da permettere un controllo costante della temperatura al suolo. “L’avere trasferito i sensori direttamente dentro il materiale ha permesso di eliminare fonti di energia o componenti elettroniche, rendendo il seme artificiale eco-friendly e robusto”, osserva Tobias Kraus, che guida lo sviluppo dei materiali sensorizzati presso il Leibniz-Institute for New Materials.
I ricercatori stanno ora lavorando alla possibilità di incorporare particelle fluorescenti sensibili ad altri parametri ambientali significativi, come l'umidità, il livello di CO2 o sostanze inquinanti.
Il prossimo passo saranno ulteriori test su campo, in collaborazione con aziende interessate a utilizzare i root seme in aree più vaste come i terreni agricoli, per un'analisi ambientale distribuita, simultanea, wireless ed ecosostenibile.
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