Missione compiuta per Artemis 1: la capsula Orion è rientrata con un perfetto ammaraggio nell’oceano Pacifico segnando il successo della prima tappa del programma della Nasa per il ritorno alla Luna. A 50 anni esatti dall’ultima volta che un uomo ha messo piede sul suolo lunare, con la missione Apollo 17 del 1972, la missionesi è conclusa con un successo, aprendo la via ai futuri voli verso il nostro satellite con astronauti a bordo, in quella che l’amministratore capo della Nasa, Bill Nelson, ha definito “la generazione Artemis”.
La nuova corsa alla Luna è ufficialmente aperta e tutto, questa volta, è molto diverso rispetto ai tempi del programma Apollo. Agenzie spaziali governative e privati sono pronti a collaborare o a muoversi autonomamente, come sta facendo l’azienda giapponese ispace che, proprio mentre Orion si preparava a rientrare a Terra, ha lanciato verso la Luna il primo lander privato. Si chiama Hakuto-R ed è stato lanciato dalla base di Cape Canaveral con un Falcon 9 della SpaceX; a bordo c’è lo strumento Lunar Flashlight della Nasa, il cui obiettivo è cercare acqua. Lanciata il 16 novembre con il più grande razzo mai costruito, lo Space Launch System (Sls) della Nasa, la capsula Orion ha salutato la Luna in un viaggio di quasi 26 giorni e nel quale e oltre due milioni di chilometri.
“Ha fatto un ottimo lavoro, tutto ha funzionato bene”, ha detto ancora Nelson. Tutto ha funzionato come previsto, compreso il Modulo di servizio costruito dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) con un’importante partecipazione dell’Italia, con Agenzia Spaziale Italiana) e industria. Con i motori e i sistemi che hanno fornito il supporto necessario alla missione, a partire dall’alimentazione elettrica, il modulo è stato il cuore di Orion e il primo componente europeo per alimentare un veicolo spaziale americano. “L’Esa è un partner forte per la Nasa, che si è affidata al Modulo di servizio europeo per rimandare gli astronauti sulla Luna”, ha twittato il direttore generale dell’Esa, Josef Aschbacher. Il modulo della capsula destinato in futuro a ospitare l’equipaggio è stato invece costruito dall’americana Lockheed Martin.
Orion ha corso verso la Terra a 40.000 chilometri orari e alle 18,20, alla quota di circa 122 chilometri, è entrata nella parte più alta dell’atmosfera, scendendo in un paio di minuti a circa 60 chilometri, e poi, come un ciottolo scagliato sull’acqua, è rimbalzata in alto fino a circa 90 chilometri. Poi è iniziata la discesa versa e propria, nella quale la capsula ha affrontato temperature superiori a 2.500 gradi avvolta dal plasma, una sorta di nube di particelle elettricamente cariche che per circa cinque minuti ha interrotto le comunicazioni fra il veicolo e il centro di controllo a Houston. Quindi Orion ha raggiunto lo strato inferiore dell’atmosfera e ha rallentato da 40.000 a poco più di mille chilometri orari. A quota 7 chilometri e alla velocità di circa 80 chilometri orari, i tre paracadute si sono regolarmente aperti e hanno ulteriormente frenato la discesa, che si è conclusa alle 18,40 con il tuffo nel Pacifico. Artemis 1 è stata una missione apripista, banco di prova di tutte le tecnologie necessarie a garantire la sicurezza dei futuri voli degli astronauti: dalle manovre che il 21 novembre hanno portato la capsula Orion all’incontro ravvicinato con la Luna e poi alla fuga nell’orbita distante, fino alla separazione del modulo di servizio dal modulo pressurizzato, avvenuta poco prima dell’ingresso nell’atmosfera terrestre, fino all’apertura dei paracadute.Tutti i test sono andati bene, ha detto la Nasa, e con risultati al di sopra delle aspettative, ma non sono finiti: adesso cominceranno i controlli sullo scudo termico che ha dovuto sopportare le altissime temperature durante il rientro nell’atmosfera.
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