Scoperto il buco nero più distante mai visto ai raggi X: localizzato a 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra, risale ad appena 470 milioni di anni dopo il Big Bang, un periodo in cui l'universo aveva solo il 3% della sua età attuale. A renderlo ancora più unico è il fatto che si trovi in una fase iniziale di crescita mai vista prima, che potrebbe svelare come si sono formati alcuni dei primi buchi neri supermassicci. Il suo identikit è in via di pubblicazione sulla rivista Nature Astronomy, grazie ai dati raccolti dall'Osservatorio a raggi X Chandra della Nasa e dal telescopio spaziale James Webb delle agenzie spaziali di Stati Uniti, Europa e Canada.
"Avevamo bisogno di Webb per trovare questa galassia straordinariamente distante e di Chandra per trovare il suo buco nero supermassiccio", afferma Akos Bogdan del Centro per l'astrofisica Harvard-Smithsonian. Il suo team ha individuato il buco nero in una galassia chiamata UHZ1 in direzione dell'ammasso galattico Abell 2744, situato a 3,5 miliardi di anni luce dalla Terra. I dati di Webb, tuttavia, hanno rivelato che la galassia è molto più distante dell'ammasso, perché si trova a 13,2 miliardi di anni luce. Due settimane di osservazioni con Chandra hanno poi dimostrato la presenza di gas intenso e surriscaldato che emette raggi X, un segno distintivo di un buco nero supermassiccio in crescita.
Gli indizi raccolti dimostrano che questo buco nero sarebbe nato così massiccio. In base alla luminosità e all'energia dei raggi X, si stima che la sua massa sia tra 10 e 100 milioni di volte quella del Sole. Questo intervallo di massa è simile a quello di tutte le stelle della galassia in cui vive, una cosa sorprendente considerato che i buchi neri delle galassie nell'universo vicino contengono solitamente lo 0,1% della massa delle stelle della galassia ospite. Secondo i ricercatori, questi dati indicano che alcuni buchi neri possono raggiungere masse colossali subito dopo il Big Bang perché si formano direttamente dal collasso di un'enorme nube di gas, così come aveva previsto nel 2017 uno degli autori dello studio, Priyamvada Natarajan dell'Università di Yale.
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