E' la seconda volta, nell'arco di due mesi, che sui ghiacciai alpini viene battuto il record dello zero termico. La prima volta era accaduto il 25 luglio, nel pieno dell'ondata di calore che aveva investito gran parte dell'Europa, quando l'altitudine alla quale la temperatura è di zero gradi era salita a 5.184 metri; le nuove misure rilevate adesso con i palloni sonda dalla stazione di Cameri indicano che lo zero termico è salito ulteriormente a 5.328 metri. "Il singolo evento non è importante di per sé, ma lo è la successione di eventi, soprattutto quando i record si ripetono più volte in un anno", dice all'ANSA il glaciologo Massimo Frezzotti, dell'Università Roma Tre. "Sulle Alpi lo zero termico è stato battuto il 25 luglio e il grande problema - osserva - è il susseguirsi di record negativi". In passato, era accaduto solo nel luglio 1995 che lo zero termico si verificasse oltre i 5.000 metri.
In montagna la temperatura diminuisce a mano a mano che si sale in quota e le variazioni dell'altitudine oltre la quale la temperatura scende sotto zero gradi, chiamata isoterma di zero gradi, hanno effetti sull'ambiente, modificando gli habitat di animali e piante. E' questo il motivo per cui allo zero termico si guarda con grande attenzione. Un campanello d'allarme c'era stato nell'estate 2022, con il disastro della Marmolada e il crollo di saracchi sul versante svizzero del massiccio del Grand Combin: un chiaro segno di quanto i ghiacciai delle Alpi fossero ormai instabili perché assediati dal caldo.
Quegli eventi erano stati anche il picco di una lenta progressione, misurata a partire dal 1959 dalla stazione di Payerne, secondo i dati dell'Ufficio federale svizzero di meteorologia e climatologia, MeteoSvizzera. In particolare emerge che dal 1961 al 1990 l'altitudine media dello zero termico era inferiore a 3.400 metri, ma dal 1990 in poi si è progressivamente spostata verso l'alto, con un incremento calcolato in circa 90 metri ogni 10 anni, con un'accelerazione osservata a partire dagli anni '70 del secolo scorso. A preoccupare, si rileva nel sito svizzero, è anche il fatto che il fenomeno prosegue anche in inverno, con l'altitudine media che dal 1991 al 2020 si è spostata a 2.600 metri nella stagione fredda.
In questa estate 2023, osserva Frezzotti, preoccupa anche "il susseguirsi di giorni e notti calde, che non permettono alla neve di ricongelare. Senza contare il fatto che "noi scienziati stiamo vedendo che quanto è stato previsto sta accelerando. Per esempio, dopo le nevicate della primavera scorsa, si attendeva una stasi dei ghiacciai durante l'estate", cosa che non è avvenuta. "Purtroppo - conclude - i record negativi di oggi sono i migliori di quelli che probabilmente vedremo negli anni".
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