In Irpinia c’è una maggiore concentrazione di eventi sismici di bassa intensità, con magnitudo inferiore a 3.7, in primavera-estate, quando gli acquiferi sotterranei sono carichi d’acqua. Lo indica lo studio italiano condotto nell’Appennino meridionale da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Università di . Padova, Università Federico II di Napoli e società Acquedotto Pugliese. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, indicano che l’accumulo di grandi quantità di acqua sotterranea modifichi l’elasticità delle rocce e, dunque, la velocità con cui viaggiano le onde sismiche.
Questo significa che i terremoti possono seguire un andamento stagionale, in base ai periodi nei quali si accumula più acqua. La ricerca, la cui prima autrice è Stefania Tarantino dell’Ingv dell’Aquila, offre così una nuova prospettiva per comprendere sempre meglio i fenomeni sismici e migliorare le tecniche di mitigazione del rischio.
Utilizzando una tecnica innovativa di analisi del rumore sismico ambientale, i ricercatori hanno scoperto che la ricarica idrologica degli acquiferi carsici dell’Appennino genera delle deformazioni naturali che influenzano la velocità delle onde sismiche. “Il nostro studio ha rivelato come gli effetti idrologici influenzino le caratteristiche meccaniche del sistema di faglie in Irpinia – dice Nicola D’Agostino dell’Ingv di Roma, coordinatore dello studio – e la distribuzione temporale della sua sismicità”.
I dati, raccolti grazie ad un’estesa infrastruttura di monitoraggio avanzato che comprende stazioni sismiche e geochimiche e un sistema di rilevamento sismico in fibra ottica, indicano che il fenomeno possa giocare un ruolo chiave non solo nei terremoti di minore intensità, “ma nella preparazione di terremoti di grande magnitudo – aggiunge Aldo Zollo dell’Università di Napoli, co-autore dello studio – come quello che colpì l’Irpinia nel 1980”.
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