E' quanto sostiene Slow Food, secondo cui "è necessario fare una distinzione tra pesca industriale e artigianale, che nasce e si sviluppa intorno alle comunità locali con un approccio basato sulla conoscenza e il rispetto del mare".
Per l'associazione la chiave è dunque la
co-gestione. "Esistono diversi esempi - sottolinea Paula
Barbeito, responsabile di Slow Fish - in cui i pescatori, il
settore pubblico, la società civile e la comunità scientifica si
sono uniti per gestire collettivamente le risorse, ma sono
modelli che hanno bisogno di essere riconosciuti legalmente e
con il necessario supporto economico per non rimanere iniziative
meritevoli quanto estemporanee". Esempio virtuoso,
l'istituzione della prima Oasi Blu nel mare di Ugento, in
Puglia, dove la pianificazione delle attività di pesca e i
sistemi adottati mirano a favorire la conservazione e la
gestione razionale delle risorse biologiche del mare. "Qui -
spiega Marco Dadamo, direttore del Parco Naturale Regionale
Litorale di Ugento e responsabile dei Presìdi del mare di Slow
Food Puglia - siamo partiti da un'iniziativa di
autoregolamentazione volontaria dei pescatori che oggi è
diventata una legge regionale: un percorso esemplare reso
possibile dalla collaborazione con istituzioni locali,
ricercatori universitari e il locale gruppo di Slow Food. In
pratica abbiamo invertito il paradigma: si tutelano i pescatori
per tutelare il mare. Adesso - conclude - la legge regionale
deve diventare ordinanza della Capitaneria di porto di
Gallipoli, in questo modo anche le marinerie più grandi e i
pescatori di datteri e ricci di mare devono rispettare le regole
dell'Oasi Blu se non vogliono incorrere in sanzioni".
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