Attraverso la concentrazioni di
cortisolo e cortisone in pelle e squame dei pesci se ne
comprende lo stress acuto e quindi lo stato dell'ambiente
acquatico. E' quanto emerge dal lavoro di un gruppo di ricerca
congiunto dell'Università Ca' Foscari di Venezia e dell'Istituto
di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche
pubblicato dalla rivista scientifica Science of the Total
Environment. Il "check-up" diventa ancora più interessante
quando riguarda le specie fragili, che richiedono specifiche
condizioni ambientali per la sopravvivenza e che quindi possono
essere messe a rischio da stress eccessivi. Tra queste specie,
classificate dalla Direttiva Habitat del 1992, c'è un piccolo
pesce privo di rilevanza commerciale e presente nella laguna di
Venezia, Aphanius fasciatus. Le ricercatrici e i ricercatori
hanno analizzato alcuni esemplari di questo pesce "sentinella".
"La presenza di questo pesce e le sue condizioni fisiologiche
possono essere considerate sentinelle di variazioni di
condizioni ambientali anche dovute all'attività antropica" dice
Luca Altavilla, dottorando in Scienze ambientali e coautore
dello studio. I livelli di cortisolo e il cortisone presenti nel
film di epidermide che ricopre le scaglie permettono di studiare
lo stress acuto, cioè come il pesce reagisce a stimoli
improvvisi. La concentrazione degli stessi ormoni nelle scaglie,
invece, può dare informazioni sullo stato cronico, quindi sulle
condizioni ambientali in cui ha vissuto il pesce.
"Per la prima volta abbiamo misurato cortisolo e cortisone in
Aphanius fasciatus - rileva Giovanna Mazzi, dottoranda in
Scienze ambientali e coautrice dello studio - possiamo quindi
dire che oggi è possibile osservare, separatamente, lo stress
acuto e lo stress cronico dei pesci come misura per comprendere
la qualità e i cambiamenti dell'ambiente acquatico locale. Il
metodo che abbiamo sviluppato si può replicare per altre
specie".
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