Spadellano, assaggiano, impiattano e sperano in una vita
migliore.
Lontana dai guai per cui stanno scontando la loro
condanna. Il laboratorio sono i fornelli del penitenziario -
sezione maschile - dove l'ANSA ha potuto seguire all'opera
questa brigata che per qualche ora ha svestito i panni del
carcerato e ha indossato quelli del cuoco. A guidarla c'è Catia
Ciofo, una degli chef chiamati a tenere il corso per conto della
cooperativa "Frontiera lavoro". "Vedere nei loro occhi la gioia
di realizzare piatti belli e buoni è qualcosa di molto
appagante, ti fa capire che nella vita c'è sempre la possibilità
di avere una seconda opportunità e questi ragazzi sentono di
poterla cogliere", racconta. "E sono certa - aggiunge - che al
termine del corso e quando torneranno ad essere uomini liberi,
potranno davvero lavorare in un ristorante, perché le
competenze che acquisiscono in questo percorso sono molto
buone".
"L'obiettivo del progetto - spiega il responsabile Luca
Verdolini - è proprio quello di consentire agli allievi di
intraprendere un percorso di crescita personale e professionale
al termine del quale possano ambire ad una collocazione nel
mercato del lavoro ordinario".
Ed esperienze in tal senso già ci sono e qualcuno degli
attuali detenuti che frequentano il corso, svela che presto
inizierà a lavorare in un locale del centro storico di Perugia,
"visto che mi è stata concessa là semilibertà".
La speranza di una vita diversa da quella fin qui condotta
accompagna ogni singolo gesto di ogni singolo detenuto. Chi
sogna di voltare pagina e aprire una trattoria con sua moglie e
sua figlia è Angelo, originario di Taranto, tornerà ad essere un
uomo libero nel luglio del 2030. Federico, invece, è della
periferia di Perugia ed ha solo 24 anni. "Prima di sbagliare con
la vita - racconta -, facevo il pizzaiolo e il panettiere. La
cucina è il mio ambito e in questi anni che mi sono rimasti di
carcere voglio studiare e migliorarmi in questo settore, lo devo
fare per me stesso, per la mia famiglia e soprattutto per mio
figlio che ha 3 anni".
Vincenzo e Stefano non sono giovanissimi e ad attenderli a
casa hanno le rispettive mogli. Probabilmente, quando usciranno,
non faranno i cuochi ma sottolineano "l'importanza di restare
attivi dentro il carcere, è fondamentale per non dire tutto".
"Mettere il grembiule e il cappello da cuoco ti fa dimenticare
anche di essere qua dentro", dice invece Abdel.
Chi sembra un po' spaventato dal futuro è Adel, 30 anni
algerino: "Qui ogni giorno si impara una cosa nuova, quando esco
spero di non sbagliare più".
Poi arriva il momento di assaggiare i piatti cucinati, ci
tengono ad avere un giudizio sul lavoro svolto. Perché dentro
quelle polpette c'è il sapore di un domani migliore.
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