- MILANO - Una cucina che è "consapevolezza delle proprie radici proiettata a una continua e naturale evoluzione". Forse basterebbero le parole di Cristiano Tomei a smontare definitivamente l'eterno, apparente altalenarsi del concetto di tradizione e innovazione: la cucina è evoluzione a prescindere e va collegata ai territori (non a caso nel menu di Corteccia, l'ultimo ristorante aperto a Milano dallo chef toscano non mancano richiami importanti alla terra lombarda, come 'riso, cipolla e zafferano' e 'roastbeef e ossobuco').
Ma nella libreria del cibo più attuale a dominare la scena è la parola sostenibilità, che dà l'opportunità a RistorExpo di aprire l'edizione 2023 (Erba, Lariofiere, fino a mercoledì 8) con il tema controcorrente de "l'enogastronomia non sostenibile". Ciò a evidenziare come, spesso, la stessa si sia ridotta a una questione di marketing: lo ha rimarcato l'intervento del giornalista Giacomo Mojoli, mentre il gastronomo Alberto Schieppati ha, dal canto suo, ricordato come la cultura dello spreco-zero fosse, solo qualche decennio fa, una "normalità" non certo in grado, al tempo, di fare notizia.
Del resto, come ha sottolineato Tomei, ciò che è etico, oggettivamente buono e con un'impronta di sapore, è per forza di cose sostenibile.
Mentre Scabin, nella sua masterclass, ha messo in guardia sul fatto che "tradizionale non vuol dire automaticamente buono", con una digressione interessante sul valore delle parole in cucina, che spesso indicano una sorta di negazione di una base di partenza, come nell'esempio del cosiddetto hamburger vegetale o bistecca di seitan: "La cucina vegana per avere un senso non ha necessità di prendere nomi in prestito da ciò che vegano per definizione non è". (ANSA).