La pasta alla carbonara ha guadagnato
negli anni una popolarità tale da essere diventata quasi un
emblema identitario della cultura italiana culinaria, e romana
in particolare. Ma cosa accadrebbe se scoprissimo che la
presunta italianissima pietanza condivide una storia con gli
Stati Uniti e che la formula "tradizionale" (guanciale, uova,
pecorino, niente panna) è apparsa solo alla fine degli anni
Sessanta? Di questo si è parlato a Firenze, nella sede
dell'Università della Cucina Italiana, con Luca Cesari, storico
enogastronomico e docente dell'accademia culinaria, nel corso di
un dibattito con il direttore Guido Mori, seguito dalla
degustazione di una ricetta di pasta alla carbonara del 1954.
Cesari, autore del libro "Storia della pasta in dieci piatti.
Dai tortellini alla carbonara" (Il Saggiatore, 2021), afferma
che, secondo un racconto mai smentito fu Renato Gualandi,
giovane cuoco bolognese, a inventare un piatto di pasta con
uova, bacon, panna e formaggio, per gli ufficiali degli eserciti
americano e inglese, nella Riccione appena liberata nel 1944. La
ricetta lo avrebbe seguito poi a Roma, dove si recò a lavorare
nei mesi successivi, finché la "carbonara" viene nominata per la
prima volta in un film, "Cameriera bella presenza offresi"
(Giorgio Pastina, 1951).
La prima formulazione della ricetta appare nel 1952 in un
libro americano, una guida ai ristoranti del quartiere North
Side di Chicago, nella recensione del ristorante Armando's e
solo due anni dopo compare per iscritto nel nostro Paese, nella
rivista "La Cucina Italiana": spaghetti, uova, pancetta,
gruviera e aglio. Raggiunta la consacrazione definitiva nel 1960
su "La grande cucina", libro di Luigi Carnacina, la carbonara
ebbe continue evoluzioni attraverso i decenni, fino a
stabilizzarsi soltanto negli anni Novanta, con i tre ingredienti
classici che tutti conoscono: uova, pecorinoo e guanciale, con
l'aggiunta di abbondante pepe nero.
"Nessuno ha mai creato un piatto dal nulla, ma è sempre partito
da qualcosa di preesistente, applicando ad esso variazioni e
miglioramenti - afferma Cesari -. Studiare la cucina che ci ha
preceduto amplia il bagaglio culturale di un cuoco, come lo
farebbe l'incontro con la gastronomia di un altro paese e gli
permette di avere più riferimenti per le proprie creazioni".
"Studiare le origini di una ricetta e la storia dei piatti è un
passaggio fondamentale per un giovane cuoco che si avvicina a
questa professione - spiega Mori -. A parte i curiosi episodi di
'colore' restituiti dalle cronache, la cucina italiana si basa
su una continua innovazione e sulla sintesi di quanto meglio
esiste nelle culture del mondo. Pertanto, riconoscere l'origine
americana della carbonara non rappresenta un 'tradimento', ma
una presa di coscienza della nostra cultura".
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