Negli ultimi anni le birre agricole e artigianali, prodotte in parte con materie prime italiane, sono diventate un'eccellenza a livello qualitativo, ma hanno bisogno di far crescere ancora il mercato. Servono anche certezze da parte della politica, come il mantenimento dell'attuale riduzione sulle accise.
Sono questi i temi affrontati negli Stati generali della birra, che hanno raccolto per la prima volta i protagonisti della filiera brassicol, organizzati a Pollenzo (Cn) da Cia-Agricoltori Italiani insieme a Unionbirrai, con la partecipazione di Patrizio Giacomo La Pietra, sottosegretario al Masaf.
"È necessario un fronte comune per raggiungere gli obiettivi, creando una filiera di materie prime coltivate interamente in Italia", ha detto Cristiano Fini, presidente di Cia. La birra Made in Italy conta oltre 1000 birrifici di eccellenza che hanno fatto crescere il valore condiviso del comparto, 9,4 miliardi di euro e oltre 700 milioni in accise annue. Una filiera agricola che sta crescendo per avere un prodotto 100% con materie prime italiane. Se nel malto d'orzo c'è un fabbisogno che supera il 50% della domanda, nel caso del luppolo solo il 5% di quello consumato dai produttori italiani è prodotto nel nostro Paese.
Secondo Matteo Bartolini, vicepresidente Cia, "il settore ha bisogno di una programmazione di lungo periodo, mentre alle istituzioni chiediamo di rivedere la Legge del 1962 che regolamenta il settore e di ripristinare nel decreto Milleproroghe le accise ridotte per i birrifici fino a 60mila ettolitri annui, soppresse dalla Legge di bilancio". Gli fa eco Alfredo Pratolongo di Assobirra, secondo il quale ""il settore dopo una crescita del 9% dal 1918 al 2022, nel 2023 ha perso una forbice di mercato tra il 5 e il 7%. L'inversione di tendenza è dovuta a diversi fattori strutturali come i costi aumentati in modo esponenziale e i consumi diminuiti, anche perché le accise incidono in modo pesante sul prezzo al consumatore".
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