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ANSAcom - In collaborazione con Carni Sostenibili
L’Italia è agli ultimi posti in Europa per consumi di carne con 33 chili pro capite, eppure è un alimento che costituisce un caposaldo della dieta umana sui cui benefici la scienza è concorde. Lo ha sottolineato Elisabetta Bernardi, biologa nutrizionista e specialista in Scienze dell’alimentazione, coautrice del volume 'Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità'.
Un cartellino rosso senza fondamento perchè, come ha spiegato la nutrizionista, "una recentissima revisione della letteratura pubblicata su Nature Medicine sottolinea quanto siano deboli e insufficienti le evidenze per formulare raccomandazioni conclusive sul consumo di carne rossa”. Secondo gli autori dello studio, infatti, non costituisce un rischio per la salute, come evidenziato da altre pubblicazioni, dimostrando che il consumo di quantità moderate di carne non trasformata non aumenta il rischio di patologie cardiovascolari né ha conseguenze sulla mortalità.
Quanto, infine, agli impatti ambientali della carne, Bernardi ha affermato che "le stime dell’impronta degli alimenti si basano su Kg di prodotto quale unità funzionale, ma non sulla loro capacità di coprire i fabbisogni nutrizionali umani”. Gli amminoacidi essenziali, per esempio, sono parametri chiave nella valutazione della qualità degli alimenti. "Quando viene calcolata l’impronta ambientale di un prodotto di origine vegetale o animale - ha detto la biologa - quest'ultimo, sia come uso del suolo sia come emissioni di gas a effetto serra, è pressoché simile o addirittura inferiore al primo, ad eccezione della soia che però non è nella tradizione mediterranea”. Per coprire i fabbisogni in aminoacidi essenziali con gli alimenti di origine vegetale, quindi, "abbiamo bisogno di quantità maggiori, con conseguente maggiore uso di suolo e maggiori emissioni di gas a effetto serra”.
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