ROMA - Fu la prima ad essere ammessa in Unione Sovietica e l'unica, quando era già scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, a ritrarre Stalin in esclusiva per Life. E' sua la foto di copertina del primo numero del mitico settimanale, laboratorio prestigioso di fotogiornalismo della seconda metà del Novecento. Per lei, che era 'embedded' con le truppe americane, fu disegnata la prima divisa da corrispondente di guerra. Fu la prima a documentare l'orrore del campo di sterminio di Buchenwald e a ritrarre Gandhi poche ore prime della morte. Basterebbero questi esempi per descrivere il valore e la grandezza di Margaret Bourke-White, protagonista della fotografia mondiale del secolo scorso. Invece la maestra dello scatto, nata nel 1904 a New York, che raccontò le molte facce dell'America e non mancò gli appuntamenti cruciali con la storia, collezionò molti altri primati. A lei il Museo di Roma in Trastevere dedica fino al 27 febbraio 2022 l'omaggio in oltre cento immagini della mostra, a cura di Alessandra Mauro, promossa dalla Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con Life Picture Collection, detentrice dell'archivio storico di LIFE.
Gli scatti dell'artista testimoniano la sua voglia di andare controcorrente e il coraggio di arrivare a mettere se stessa davanti all'obiettivo nel 1952, quando decise di descrivere la lotta contro il morbo di Parkinson, grazie all'amico e collega Alfred Eisenstaedt, autore del celebre bacio a Times Square tra il marinaio e l' infermiera per festeggiare la fine della guerra. La mostra "Prima, donna. Margaret Bourke-White" prende le mosse dai primi lavori industriali nelle acciaierie quando la giovane Margaret aprì uno studio a Cleveland e si snoda sui reportage sulla Grande Depressione degli anni Trenta negli Stati del Sud, i lavori prima per Fortune e poi Life, il periodo in Unione Sovietica a documentare il piano quinquennale. ''Per i fotografi stranieri la Russia era blindata - disse - Niente mi attraeva di più di una porta blindata; non mi sarei data pace se non dopo aver cercato di aprirla, e volevo essere la prima a farlo". Ecco poi i tempi di guerra al seguito dei soldati Usa in Nord Africa, Italia e Germania, la liberazione del campo di sterminio "quando per lavorare - disse - ho dovuto coprire la mia anima con un velo"; il lungo reportage sull'India nei giorni dell'Indipendenza e della separazione dal Pakistan, con il celebre ritratto del Mahatma, seduto a terra accanto a un arcolaio. La discriminazione razziale ha il volto dell'apartheid in Sud Africa e delle foto a colori sul segregazionismo nel Sud degli Stati Uniti.
Una pagina a parte sono le immagini aeree che la impegnarono per anni: "Se ti trovi a trecento metri di altezza, fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma", era il suo motto. L' ultimo capitolo affronta la ''malattia misteriosa'' che l'avrebbe portata alla morte nel 1971, a 67 anni. "Margaret Bourke-White - osserva Alessandra Mauro - con le sue immagini, le sue parole e tutta la sua vita, è stata in grado di creare un personaggio forte e invidiabile costruendo il mito attraente di se stessa, donna e fotografa". Anche nella battaglia contro il Parkinson, "non avrà paura di mostrarsi debole e invecchiata, nonostante un'eleganza e un buon gusto a cui non rinuncerà mai, confermandosi ancora una volta la prima, insomma, quasi in tutto". La grande fotografa, aggiunge la curatrice, ''ha cercato di non farsi fermare da nulla in un epoca in cui l'emancipazione femminile era difficile da realizzare. Per lei il lavoro rivestiva una importanza fondamentale". Non era la famiglia al centro dei suoi pensieri e non ebbe figli. I due matrimoni, il secondo con lo scrittore Erskine Caldwell incontrato per il reportage sulla Depressione, furono 'incidenti di percorso'. ''Le foto che più la rappresentano - commenta la curatrice - sono le immagini dell'America riprese da piccoli aerei ed elicotteri, frutto della voglia di mettersi alla prova sempre al limite e della sua capacità visionaria di rendere il mondo anche in una forma astratta". Come avvenne per altre sue colleghe illustri - da Dorothea Lange a Berenice Abbott, Eve Arnold, Inge Morath, Lee Miller - a fare la differenza è il punto di vista femminile in controtendenza, "l'altro sguardo della fotografia, che osserva in modo differente e permette di vedere meglio".
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