ROMA - Una bomba enorme sospesa sulla testa di una figura angelica minuscola bloccata da corde e più in basso l'interrogativo 'Pax europea?'. Non è la vignetta pubblicata in questi giorni sulla prima pagina di un grande quotidiano, ma la tavola vecchia di quasi novant'anni disegnata da Mario Sironi per la rivista fascista Gerarchia, voce ufficiale del regime. Fa un certo effetto che un richiamo tanto attuale alla tragedia ucraina e alle tensioni che in queste settimane stanno scuotendo gli Stati del Vecchio Continente descriva il clima di un'epoca che solo pochi anni dopo sarebbe stata sconvolta dall' inizio della seconda guerra mondiale.
Questa lezione di storia affidata a una matita campeggia tra le opere della bella mostra 'Mario Sironi. La poetica del Novecento'' con la quale la Galleria Russo di Roma ricorda i 60 anni della morte dell'artista proponendo una selezione di tele e disegni, con veri e propri capolavori, provenienti dalle collezioni di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci, che con lui ebbero un legame speciale. Le oltre 60 opere scelte da Fabio Benzi documentano la ricchezza e l'importanza delle raccolte delle due donne che occuparono un posto di rilievo particolare nella scena artistica tra le due guerre. Margherita Sarfatti non fu soltanto l'amante di Mussolini e l'autrice della sua celebre biografia 'Dux', prima di essere scaricata dal capo del fascismo e costretta a espatriare dopo l'emanazione delle leggi razziali. Il suo fiuto da talent scout la rese la vera regina del mondo dell'arte, capace di condizionarne il corso con la creazione a Milano del movimento 'Novecento' - di cui Sironi fece parte - che riuniva gli artisti fautori del 'ritorno all'ordine', e sostenendo l' idea di un'arte di Stato che Mussolini si rifiutò sempre di appoggiare.
Meno nota al grande pubblico, anche Ada Catenacci si avvicinò all'arte sul finire degli anni '30. Con il marito Giuseppe Balzarotti acquistò dipinti e sculture come investimento alternativo ai titoli esteri, di cui, dal 1935, era vietato il possesso. Divenne amica dei galleristi più importanti di Milano e aprì agli amici artisti le porte della sua casa bellissima sul lago di Garda, salotto culturale che animava con lo spirito di una vera mecenate. Fu proprio lei ad acquistare da Sironi nel 1946 una cartella con 344 disegni eseguiti dall'artista nella sua lunga collaborazione con ''Il Popolo d' Italia'', l'organo ufficiale del regime. Al di là del valore dei lavori, con quel gesto Ada volle aiutare Sironi, che era caduto in disgrazia per il suo passato di artista-simbolo del fascismo. Di quel corpus di opere si persero le tracce fino al 2000, dopo la morte del figlio di Ada, Federico. Una quarantina di quei fogli figurano ora nella mostra curata da Benzi, secondo il quale in Sironi ''il processo intellettuale rappresentato dal disegno assume un ruolo esponenziale rispetto a qualsiasi altro artista contemporaneo: la quantità straordinaria di opere di questo genere che realizzò nella sua vita costituisce un unicum che davvero lascia stupefatti per vastità, coerenza e sforzo progettuale".
Il percorso abbraccia la produzione dal 1908 alla fine degli anni Cinquanta del pittore, nato a Sassari nel 1885. Al Paesaggio Urbano divisionista degli esordi, che mostra un Sironi diverso dal maestro e amico Giacomo Balla, si affiancano il dipinto futurista 'La Ballerina' del 1916 e le suggestioni metafisiche dei primi anni Venti, diverse dai lavori di De Chirico e Carrà. Per arrivare a un altro 'Paesaggio urbano' del 1922-1923, con quella atmosfera di solitudine rarefatta di grande suggestione. Di lui Pablo Picasso scrisse: "Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto". Oltre che pittore e disegnatore raffinato, Sironi negli anni Trenta fu anche un grande protagonista dell'arte murale monumentale testimoniata dall'affresco restaurato recentemente dell'Aula Magna dell'Università la Sapienza, e da quelli dei ritratti a cavallo del Duce e del Re d'Italia Vittorio Emanuele III, rimasti nascosti per decenni nella Casa del Mutilato, a Roma. Mario Sironi è morto a Milano nel 1961.
La disillusione e il pessimismo seguiti all'esito tragico della guerra lo avevano portato, osserva Benzi, verso "un percorso di una continua interazione tra espressionismo, arcaismo, matericità gestuale e astrazione".
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