Scultore, scenografo, artista eclettico e tra i più rappresentativi dell'arte povera: a Pino Pascali e all'eredità della sua pur breve carriera, la Fondazione Prada da domani fino al 23 settembre dedica un'ampia retrospettiva curata da Mark Godfrey. Concepito da 2x4, il percorso della mostra include 49 opere provenienti da musei italiani e internazionali e collezioni private. Nato a Bari nel 1935, Pascali si trasferì a Roma nel 1955 per studiare scenografia all'Accademia di Belle Arti. Lavorò come aiuto scenografo in Rai e collaborò come designer e scenografo per il cinema e la pubblicità. Nel 1965 la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma, nel 1968 la morte dopo un incidente in moto, all'età di trentadue anni, nello stesso anno della sua presentazione monografica alla Biennale d'Arte di Venezia.
Nonostante la breve carriera, Pascali - come emerge dalla retrospettiva milanese - ha contribuito in modo significativo agli sviluppi della scena artistica del secondo dopoguerra.
"Usava elementi naturali come la terra e l'acqua insieme a materiali da costruzione come l'eternit, e - ricorda Mark Godfrey - divideva i suoi mari e campi in unità modulari.
Portava in studio nuovi prodotti di consumo e tessuti sintetici per creare animali, trappole e ponti". Ma "se la complessità del suo approccio alla scultura è indiscutibile", per il curatore "il fattore che rende la sua pratica artistica così geniale e originale è un altro: Pascali è un artista sempre attuale perché era un esibizionista". Secondo Godfrey, Pascali "comprendeva che gli artisti del dopoguerra dovevano dedicare altrettante energie all'attività espositiva quante quelle dedicate a rifinire le opere in studio". Essere un esibizionista significava "innanzitutto creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppur temporanei, ambienti che fossero più della somma delle loro parti" e "procurarsi quante più occasioni espositive possibili e assumerne il controllo". L'esibizionista inoltre "riconosceva l'importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l'allestimento" e "doveva infondere nuova linfa alla sua opera per ogni mostra, e soprattutto doveva cambiare radicalmente l'approccio alla realizzazione di ogni progetto espositivo".
Per approfondire il carattere innovativo dell'opera di Pascali, la prima sezione del progetto espositivo approfondisce il modo in cui l'artista ha creato ambienti immaginari per le sue cinque mostre personali, senza limitarsi a selezionare opere dal suo studio. La seconda sezione è dedicata ai materiali naturali e industriali, come tela, tintura, terra, eternit, pelliccia sintetica, lana d'acciaio, gommapiuma, parti di automobili, fieno e scovoli, con opere chiave come Barca che affonda (1966), Campi arati e canali di irrigazione (1967) e L'Arco di Ulisse (1968). La terza parte include alcune tra le sue opere più note, come Ricostruzione del dinosauro (1966), 1 metro cubo di terra (1967), 9 mq di pozzanghere (1967) e Fiume con foce tripla (1967), in dialogo con lavori di artisti come Alighiero Boetti e Michelangelo Pistoletto. In chiusura, foto e video storici di Pascali insieme alle sue sculture.
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