Le opere di 28 artisti, perlopiù
concepite ad hoc in vista della collettiva, evocano la vicenda
umana e professionale del ferrarese Vittorio Cini, definito da
Indro Montanelli "l'ultimo Doge di Venezia" e uno dei più grandi
imprenditori del Novecento, protagonista della storia e della
vita economica, politica, sociale e culturale italiana. La
mostra - a Palazzo Bonacossi di Ferrara dal 13 novembre al 26
febbraio, organizzata da Il Cigno Arte in collaborazione con
Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d'Arte del Comune -
presenta anche, attraverso fotografie storiche e documenti,
l'attività collezionistica di Cini (per Federico Zeri "vero
raccoglitore di pittura antica") e iniziative come la donazione
del palazzo di Renata di Francia al Comune di Ferrara (1942) e
la creazione dell'Istituto di Cultura "Casa Giorgio Cini" nella
residenza di famiglia in via Santo Stefano a Ferrara, donata ai
gesuiti nel 1950.
Nato il 20 febbraio 1885, Vittorio Cini, Senatore del Regno
dal 1934, fu nominato due anni dopo commissario generale
dell'Ente Esposizione Universale di Roma, prevista per il 1942.
Dopo aver ricoperto per alcuni mesi la carica di ministro delle
comunicazioni, nel giugno 1943 si dissociò dal regime fascista,
scelta che gli costò l'internamento nel campo di concentramento
di Dachau, dal quale uscì grazie all'intervento del figlio
Giorgio. In memoria di quest'ultimo, scomparso prematuramente,
promosse la costituzione della Fondazione Giorgio Cini (1951),
centro di formazione e ricerca umanistica che scelse di
collocare nell'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Mecenate e filantropo, fu anche uno dei più intelligenti
collezionisti del Novecento: nella sua ricca e variegata
raccolta figuravano, tra gli altri, capolavori di maestri del
Rinascimento estense, testimonianza della passione per l'arte
della sua città natale. Come sottolinea il curatore della
mostra, Marco Di Capua, dai diversi spunti forniti dagli artisti
che hanno indagato la 'geografia ciniana' emerge "un Dna
creativo e civile, progettuale ed estetico che condiziona e
rende evidente, in modo lampante, il senso moderno della civiltà
italiana".
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