"Sono contento anche oggi della decisione che prendemmo all'epoca, per quanto fu una decisione sofferta e impopolare". Lo spiega Francesco Maisto, il giudice, ora in pensione, che fu presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna che dispose prima il lavoro esterno e poi la detenzione domiciliare speciale, concessa nel 2014 a Annamaria Franzoni, condannata a 16 anni per l'omicidio del figlio Samuele e da qualche tempo completamente libera. "Faccio gli auguri a lei per il futuro e anche alla sua famigliola ricostruita", dice ora il magistrato, raggiunto al telefono dall'ANSA.
La decisione fu sofferta perché prima di assumerla "si dispose un'integrazione della perizia psichiatrica, dopo che nell'arco dei processi ce n'erano state altre e tutte discordanti tra loro". E poi, "decidemmo dopo aver dato a Franzoni una sorta di aut aut, dicendole di dire la verità. E lei superò questa prova di resistenza, continuò a proclamare la sua innocenza. Ma per ottenere le misure alternative - ricorda il giudice - non è necessario confessare i fatti, come stabilito dalla Corte costituzionale".
E fu anche una pronuncia impopolare, anche se "noi siamo sempre stati convinti - dice Maisto - che i giudici non devono decidere cercando il consenso, ma applicando e interpretando la legge". Franzoni, "in qualche maniera, nella sfortuna, è stata fortunata. Nel suo caso si verificarono le condizioni che ci augureremmo per tutti i detenuti che chiedono una misura alternativa: ci fu la possibilità di lavorare nella coop sociale, ebbe figure educative valide, e seguì una psicoterapia dentro e fuori dal carcere". "Mi viene da dire anche: 'alla faccia del mantra della certezza della pena'. Nel senso che - spiega - se si fosse realizzato questo, come sostiene qualcuno, ma come io invece non auguro che succeda mai a nessun detenuto e non è possibile secondo la nostra Costituzione, la Franzoni non sarebbe uscita dal carcere, e non avrebbe mai ottenuto la liberazione anticipata". Maisto ricorda anche che il giudice relatore fu Sabrina Bosi e che il caso fu trattato in un periodo durante il quale una serie di vicende di rilevanza nazionale arrivarono al tribunale di Sorveglianza di Bologna, dall'esecuzione dei processi del crac Parmalat al caso dei poliziotti condannati per la morte di Federico Aldrovandi.
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