"Sono qui da sabato, è il mio terzo giorno di protesta. Al presidente Bonaccini o a chi prende decisioni direi che l'umore degli studenti non è dei migliori, ci sentiamo presi in giro" quello che "vogliamo è un rientro a scuola sicuro, al 50% in presenza, il prima possibile. Non importa quando se tra una settimana o un mese. L'importante è che sia garantito: quando ci dicono una data, sia quella e rimanga quella. Non voglio che le scuole riaprano e poi chiudano dopo una settimana". Giulio Pugnaghi, 14 anni, tablet e libro sulle ginocchia, racconta la sua protesta per chiedere la riapertura delle scuole superiori, slittata al 25 gennaio in Emilia-Romagna.
Iscritto alla quarta ginnasio, dopo avere seguito le lezioni nel padiglione allestito in Fiera, al rinvio del ritorno in aula ha scelto di rispondere seguendo i corsi in Dad seduto accanto all'ingresso del Liceo Minghetti di Bologna. A lui, oggi, si è unito un compagno di classe, per vedere come proseguiva la mattinata è passata anche la madre che ha raccontato la mobilitazione del figlio via social, poi ripresa dai quotidiani locali.
"Quando ci hanno promesso il ritorno a scuola il 7 gennaio al 50% in presenza eravamo molto contenti - racconta lo studente - il 6 gennaio avevamo gli orari. Poi ci hanno informato che avevano deciso di farci tornare l'11, ci siamo sentiti presi in giro, ma potevamo aspettare qualche giorno. Quando ci hanno detto che dovevamo tornare il 25 mi sono sentito malissimo: noi siamo persone, non 'oggetti' che vengono messi nelle aule e accumulano conoscenze ed espandono il coronavirus".
Mentre per domani sono annunciate mobilitazioni del comitato Priorità la scuola e si fanno sentire anche i genitori, come quello che ha affisso un cartello in via Saragozza con scritto 'qui abita uno studente che vorrebbe tornare a scuola', Giulio afferma di restare davanti al Minghetti "finché è giusto rimanere. Se qualcuno si vuole aggiungere è bene accetto, non costringo nessuno".
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