Sono saliti a 3.000 i profughi ucraini presenti in provincia di Rimini, uno dei territori italiani con la più alta densità di persone accolte in fuga dalla guerra. Stenta però a decollare il piano di accoglienza, e gli hotel che hanno aperto loro le porte gratuitamente cominciano ad avere difficoltà.
Da un paio di settimane ogni mattina fuori dall'Ufficio immigrazione della questura di Rimini, in piazzale Bornaccini, si assiste alla stessa scena. Una lunga coda di cittadini ucraini di fronte a un banco con due agenti che li registrano.
Non solo profughi, ma anche i familiari che li ospitano. La comunità ucraina di Rimini è una delle più grandi d'Italia, conta 5.000 persone. Nel giro di due settimane ne sono giunte altre 3.000.
"Siamo arrivati il 14 marzo, ci ha accolti la mia suocera", racconta Lena, giovane donna che proviene da Zaporizzja, la città della centrale nucleare più grande d'Europa presa di mira dall'esercito russo. Qui intende restare "fino a quando finisce la guerra", dice. Là ha lasciato il padre, "che è invalido", e la nonna.
Come lei, la maggior parte dei profughi si è sistemata a casa di amici e parenti, anche se molto spesso in condizioni precarie, con poco spazio a disposizione. Circa 900 sono invece quelli accolti negli hotel della costa, anche se tra questi iniziano ad emergere le prime difficoltà legate alle spese, come dimostra lo 'sfratto' di profughi con dietrofront di una struttura di Rivazzurra. E fatica ancora a decollare l'accoglienza istituzionale, quella dei Cas. Stando all'edizione locale del quotidiano 'il Resto del Carlino', sarebbero solo un centinaio i posti trovati fino ad ora in questi centri.
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