"Noi siamo morti sul posto". Sono parole pronunciate da Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, in una conversazione con l'altro figlio, intercettata a fine agosto 2021. È la prima volta dal delitto che spuntano parole della donna, che in questa occasione parla di sé e del marito, Shabbar Abbas. La telefonata è nel maxi faldone del processo per l'omicidio della diciottenne pachistana che inizierà a febbraio 2023 a Reggio Emilia. Processo che, dopo indagini dei carabinieri e della pm Laura Galli, vede imputati cinque familiari della ragazza, i genitori latitanti in Pakistan, due cugini e uno zio arrestati tra Francia e Spagna.
La frase di Nazia Shaheen è estrapolata da una conversazione via Whatsapp del 30 agosto 2021. È il ragazzo - il fratello minorenne di Saman, ora affidato a una comunità protetta, ndr - che chiama l'utenza pachistana usata dai genitori, fuggiti in Pakistan il primo maggio, la mattina dopo il presunto omicidio della figlia avvenuto la notte fra il 30 aprile e il primo maggio.
Il giovane parla con la madre di altri due familiari, non indagati, che secondo lui avrebbero istigato il padre nell'organizzazione dell'omicidio della sorella. Il giovane è arrabbiato nei confronti dei due - uno zio e un cugino - ritenendoli responsabili moralmente per la fine di Saman e lasciando trasparire sentimenti di vendetta. La madre cerca invece di calmarlo chiedendogli di "lasciarli stare". "Quelli che danno consigli storti, con quelli bisogna fare così", dice il ragazzo. La madre replica: "Lasciali stare, mandali dal diavolo". E ancora, il giovane cita una frase riportata di questi familiari "'Se era mia figlia, anch'io facevo così con lei'. Io non ho dimenticato niente. Li raddrizzerò questi due". A quel punto la madre ribatte: "Tu non sai di lei?", probabilmente riferendosi ai comportamenti di Saman, "Davanti a te a casa... noi siamo morti sul posto, per questo tuo padre è a letto e anche la madre (parla di sé in terza persona, ndr) a letto", "Anche di lei non è che non sai, da costretti è successo quello che è successo, anche tu lo sai, figlio mio non sei bambino, sei giovane anche e comprendi tutte le cose". E poi in passaggi seguenti: "Tu sei a conoscenza di tutto", dice al figlio, "Pensa a tutte le cose, i messaggi che ci facevi ascoltare la mattina presto, pensa a quei messaggi, pensa e poi di' se i tuoi genitori sono sbagliati". "Ora mi sto pentendo, perché ho detto", risponde il ragazzo.
"L'Associazione Penelope si è costituita nel processo per l'omicidio di Saman per dare il proprio contributo alla verità sulla sua scomparsa. Notoriamente da 20 anni affianchiamo I familiari delle persone scomparse che si ritrovano loro malgrado in questo limbo di tempo sospeso... Del tempo senza tempo in cui ogni giorno trascorre in un'attesa di notizie che spesso non ha mai fine. Nel caso di Saman i genitori non chiedono notizie e sono scappati e nemmeno tornano in Italia per dare spiegazioni". Così l'avvocata Barbara Iannuccelli per l'associazione Penelope. "Il padre - spiega - rassicurò un giornalista che aveva sentito Saman su Instagram, che stava bene e che lui sarebbe tornato per dare spiegazioni. Lo stiamo ancora aspettando. A ben guardare se una persona può dare spiegazioni sulla scomparsa del proprio figlio perché non lo fa? Sarebbe la cosa più scontata e ovvia. Nel mondo ci sono tantissimi cittadini pachistani che lavorano e vivono normalmente nel posto che li accoglie e proprio per rispettarli il Pakistan dovrebbe isolare coloro i quali, invece, si comportano male. Ci aspettiamo che chi può possa contribuire alla verità sulla scomparsa di Saman. Noi cercheremo di farlo".
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