BRUXELLES - La Corte di giustizia dell'Ue richiama al rispetto del regolamento di Dublino anche in casi di flussi migratori eccezionali, deludendo le aspettative dell'Italia. Sfuma così la speranza di vedere scardinato, da una spallata dei giudici europei, il principio secondo il quale il Paese di primo ingresso dei migranti è responsabile per la loro richiesta d'asilo. Nella loro sentenza, i togati hanno infatti capovolto le conclusioni dell'avvocato generale Eleanor Sharpston, che prefigurando una deroga per il caso dell'ondata migratoria eccezionale sulla rotta dei Balcani occidentali del 2015-2016 - in linea teorica applicabile anche alla situazione attuale dell'Italia - aveva alimentato numerose attese.
Ma anche alla luce della decisione della Corte Ue, secondo il commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos, si rende più urgente una riforma del regolamento di Dublino, definito un sistema con "forti carenze. Inadeguato a situazioni straordinarie" come l'attuale pressione migratoria sull'Italia. "Serve una completa revisione", che includa un meccanismo permanente di 'relocation' per le situazioni di crisi, ha ribadito. A evidenziare quanto lo schema dei ricollocamenti possa contribuire "realmente" e "in modo proporzionato" a far fronte alle conseguenze delle pressioni migratorie eccezionali sono intervenute le conclusioni dell'avvocato generale della Corte Ue Yves Bot, con cui propone ai giudici dell'Unione di "respingere i ricorsi di Slovacchia e Ungheria" contro il meccanismo provvisorio di ridistribuzione dei richiedenti asilo da Italia e Grecia.
Un'indicazione contro cui si è scagliato il ministro degli esteri Peter Szijjarto definendola "un'ulteriore pressione delle istituzioni Ue per obbligare ad accogliere migranti non voluti. Nessun Trattato può revocare il diritto delle nazioni a decidere chi far entrare sul proprio territorio", ha avvertito. Un segnale "chiaro" invece per Bruxelles, che proprio ieri ha deciso di far avanzare la procedura d'infrazione contro Ungheria, Polonia, e Repubblica Ceca, avvicinando così il momento del loro deferimento alla Corte Ue, per il mancato rispetto degli obblighi di trasferire i richiedenti asilo da Italia e Grecia. La Commissione europea ha infatti concesso alle cancellerie di Praga, Varsavia e Budapest un mese per l'ultimo ravvedimento. "C'è ancora tempo per cambiare. La porta resta aperta. Possiamo rimediare la situazione e tornare alla normalità ", ha detto Avramopoulos annunciando che a giugno il ritmo delle 'relocation' dei richiedenti asilo ha raggiunto "livelli record" con mille trasferimenti dall'Italia e oltre duemila dalla Grecia, attestandosi rispettivamente a 7.873 e a 16.803, e che si andrà avanti con le redistribuzioni di quanti sono arrivati entro fine settembre 2017, fino all'esaurimento degli obblighi.
Attualmente non c'è però alcun appetito per cambiare i criteri per determinare l'eleggibilità ai trasferimenti, né si ha in mente di mettere in piedi un nuovo meccanismo provvisorio, visto che si punta a chiudere al più presto la riforma del regolamento di Dublino (che ne dovrebbe prevedere uno). Si vuole invece proseguire con i reinsediamenti (sono 7.806 le persone accolte dai campi profughi) con uno schema da 40mila profughi alla Libia e dai Paesi vicini, in collaborazione con l'Unhcr, e un finanziamento di 40 milioni di euro, già previsti da Bruxelles. Anche questo un modo, che come la lettera di martedì del presidente Jean Claude Juncker al premier Paolo Gentiloni su risorse e fondi aggiuntivi e l'istituzione di un gruppo di contatto permanente per il periodo estivo, "per dire che la Commissione Ue non molla" nei suoi sforzi per aiutare l'Italia, come ha voluto chiarire Avramopoulos. Ma per l'Osservatore romano siamo ancora solo alle "briciole". "Ben poco" sia per la "portata della tragedia", sia per gli "appelli a una strategia comune".
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