BRUXELLES - Per far funzionare un meccanismo di cooperazione per gli sbarchi dei migranti salvati in mare in un Paese fuori dall'Ue, oltre all'identificazione degli Stati partner, occorre lavorare con Unhcr e Oim per assicurare che i profughi siano avviati a schemi di resettlement, e i migranti che non necessitano protezione, al rimpatrio e a programmi di reintegrazione gestiti dall'Oim.
Ma, si evidenzia, "chi viene salvato non acquisisce il diritto automatico ad accedere alle procedure di asilo in un Paese membro dell'Ue". Si legge in una delle tre opzioni elaborate dalla Commissione europea sulla misura della cooperazione regionale per gli sbarchi, in vista del vertice dei leader di domani.
Secondo quanto si spiega nel documento, la cooperazione sugli sbarchi in uno Stato non Ue è possibile, sia se l'operazione di salvataggio è condotta nelle acque territoriali del Paese, dal suo guardacoste o da altri; sia se è condotta in acque internazionali, e include imbarcazioni battenti bandiera Ue. Un'altra opzione riguarda la cooperazione regionale con gli sbarchi nei Paesi dell'Ue. Per funzionare - si spiega - occorre un rafforzamento dell'approccio degli hotspot, con un'azione più coordinata tra Frontex e l'Agenzia europea per il sostegno all'asilo (Easo). In questo caso servirà trovare una soluzione basata sui principi di solidarietà e responsabilità, per ridistribuire "quanti necessitano di protezione che resteranno nell'Unione".
La terza opzione, è quella che viene bollata come "illegale", da "scartare" e "lontana dai valori dell'Ue". Ovvero: centri esterni, fuori dalla Unione, dove dirottare tutti i migranti irregolari arrivati in Ue, senza trattare le loro richieste; o dove inviare i richiedenti asilo che si sono visti rifiutare la domanda, senza che siano transitati da quel Paese.
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