BRUXELLES - La Commissione Ue entra in pressing sui 28 perché questi sblocchino, al vertice Ue di giovedì e venerdì, le misure che garantiscono alle imprese europee la reciprocità per l'accesso al mercato degli appalti pubblici con la Cina, ma anche con tutti gli altri Paesi terzi, dagli Usa a Turchia e India. Bruxelles chiede infatti che il cosiddetto Strumento per gli appalti internazionali (Ipi), già proposto nel 2012, poi rivisto e riproposto nel 2016, ma da allora rimasto nei cassetti del Consiglio a causa delle divisioni tra gli stati membri, venga ora adottato "prima della fine del 2019". L'obiettivo, spiegano le fonti, è "avere una posizione unitaria" dei 28 perché oggi "abbiamo una drammatica mancanza di leva". A favore, spiegano fonti Ue, sono Francia e Germania, mentre finora sono stati contrari i Paesi tradizionalmente liberisti del nord, dalla Svezia alla Danimarca, con Olanda e Gran Bretagna. L'Italia sembra resti favorevole a queste misure, nonostante il cambio di posizione avuto con il governo gialloverde sullo screening degli investimenti stranieri.
Secondo fonti della Commissione, infatti, questo strumento sugli appalti pubblici che ha proposto da tempo "non è una rappresaglia né vuol dire chiudere il mercato europeo ai Paesi terzi ma è un modo per aprire il mercato globale alle imprese europee". Si tratta "solo di pragmatismo, non è ideologia, abbiamo bisogno di questo strumento", sottolineato ancora le fonti. Lo strumento consentirebbe a Bruxelles di rispondere da una parte al problema dell'assegnazione a imprese di Paesi terzi di grandi appalti pubblici europei e della contemporanea discriminazione delle imprese europee sul mercato dei Paesi extra Ue. E dall'altra darebbe anche una risposta alle richieste franco-tedesche dopo la bocciatura della fusione Alstom-Siemens, in quanto consentirebbe di creare campioni europei competitivi sul mercato globale e allo stesso tempo su quello Ue, preservando al contempo la concorrenza in Europa senza dover modificare le norme antitrust.
Il funzionamento dell'Ipi prevede infatti l'apertura di un'indagine da parte della Commissione sulle pratiche restrittive di un Paese terzo nei confronti di imprese europee, poi l'apertura di un dialogo con il Paese coinvolto per trovare rimedi. Solo come ultima spiaggia, in caso di mancato accordo, Bruxelles applicherebbe a sua volta misure restrittive nei confronti delle imprese, beni e servizi di questo Paese terzo, ma con voto finale degli stati membri che avrebbero quindi l'ultima parola. Nove Paesi sui 20 più discriminati negli appalti pubblici sono proprio stati membri Ue: Germania, Francia e Italia, poi Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Olanda, Austria, Belgio, Repubblica ceca e Danimarca. Il mercato globale degli appalti pubblici vale infatti 8mila miliardi di euro, di cui oltre la metà sono preclusi in partenza per le imprese europee. La quota di valore di appalti extra Ue a cui le imprese europee riescono ad avere accesso è appena di 10 miliardi di euro l'anno, mentre il valore degli appalti pubblici in Ue aperti alle imprese mondiali è di 2.400 miliardi. Il valore del mercato cinese, su cui non c'è nessuna trasparenza, è stimato essere da solo attorno a 1.400 miliardi secondo dati del 2013.
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