BRUXELLES - Le discariche illegali su tutto il territorio nazionale per cui l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea è un caso esemplare di non applicazione del principio Ue "chi inquina paga", poichè per finanziare le azioni di risanamento sono stati utilizzati i soldi pubblici, anziché quelli di chi ha inquinato. Lo scrive la Corte dei Conti Ue nel rapporto 'Il principio chi inquina paga: applicazione incoerente tra politiche e azioni Ue', che ha analizzato, tra l'altro, 42 progetti per un valore di 180 milioni di euro di fondi strutturali e di investimento europei e LIFE in otto regioni di tre Stati membri: 19 in Italia, 10 in Polonia e 13 in Portogallo. "In moltissimi casi - dice il responsabile del rapporto Viorel Stefan - invece degli inquinatori le azioni di risanamento sono state finanziate con il bilancio statale o dell'Ue".
Nel caso delle discariche abusive che tuttora costano all'Italia sanzioni pecuniarie inflitte dalla Corte Ue, i revisori hanno esaminato 8 siti in Campania, interessati da un contributo di 27,2 milioni di euro di fondi strutturali 2014-2020. In un sito in particolare, la discarica non era attrezzata per proteggere il suolo, la falda freatica e l'aria dall'inquinamento. Il gestore non ha tutelato il sito dallo scarico abusivo di rifiuti, anche pericolosi, né durante le operazioni né dopo la chiusura. Le autorità nazionali hanno utilizzato 2,2 milioni di euro di fondi dell'Ue per decontaminare il sito nel 2017 e nel 2018, dopodiché la Commissione ha ritenuto l'ex discarica conforme alla normativa ambientale dell'Ue. Nel rapporto si parla anche del caso dell'ex Ilva, sebbene i revisori non la citino direttamente riferendosi solo a "un grande impianto per l'acciaio". In questo caso, si legge nel documento, la mancata applicazione della Direttiva per le emissioni industriali ha portato a una situazione di irregolarità sanzionata anche dalla Corte di giustizia Ue.
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