BRUXELLES - Se vuoi la pace, prepara la guerra. La celebra massima latina, rilanciata di recente dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, non è più confinata alla letteratura - la coniò nel V secolo il nobile Publio Flavio Vegezio Renato che, peraltro come Michel, era estraneo alla vita militare - ma sta diventando politica d'indirizzo. Per l'Ue significa però mobilitare una valanga di quattrini. Più di quanto fatto sinora (che non è poco), ovvero almeno altri 80 miliardi di euro annui. Calcolatrice alla mano, è la cifra che dovranno sborsare collettivamente i 27 per arrivare al 2% del Pil in difesa, soglia minima stabilita dalla Nato e ribadita al summit di Washington del 9-11 luglio.
Il dato di partenza è consultabile scartabellando l'ultimo rapporto della European Defence Agency (Eda). Nel 2022, infatti, i Paesi dell'Ue hanno speso 240 miliardi di euro in difesa, confermando un trend in crescita sin dal 2014, l'anno del record negativo (e dello scoppio della guerra nel Donbass, subito dopo l'annessione della Crimea da parte di Mosca). In quel momento - ma è facile dirlo col senno di poi - termina l'epoca della pace in Europa e inizia qualcos'altro, benché non tutti i Paesi dell'Ue e della Nato se ne siano resi conto: passare dalla modalità 'Venere' alla modalità 'Marte' prende tempo.
Nel 2014, i 27 spendevano collettivamente 171 miliardi di euro e dunque in otto anni hanno aggiunto ai bilanci militari ben 69 miliardi (pari al 40% in termini reali). Il rapporto dell'Eda si ferma al 2022 e indica che la spesa militare Ue - in totale appunto 240 miliardi - equivale "all'1,5% del Pil". Ma non basta. Perché per arrivare a centrare finalmente il 2%. i 27 dovranno sborsare un altro 30%. Ed ecco gli 80 miliardi di euro (il 2023 segna senz'altro il segno più negli investimenti in difesa ma per capire la percentuale rispetto al Pil si devono attendere i dati consolidati).
Il rafforzamento del comparto militare riporta l'Ue in gioco: a parte gli Usa, che nel 2022 hanno riservato al Pentagono 794 miliardi di euro vivendo in una dimensione propria, la Cina si distingue con 273 miliardi di euro, mentre la Russia, pur con l'acceleratore a tavoletta, si ferma a 92 miliardi di euro (ma i numeri continuano a salire). Uno scenario che obbliga gli europei, forse per la prima volta, a imboccare la via degli appalti congiunti - miseramente fermi al 18% del totale laddove i target Ue già oggi vorrebbero il 35% - per spendere meglio, oltre che di più. Adottare un profilo marziale, per un continente (in media) ad alto debito e a crescita moderata, pone infatti delle sfide consistenti.
L'agenzia di rating Moody's evidenzia come Italia e Spagna siano i Paesi che rischiano di più dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici, poiché raggiungere il 2% "complicherà gli sforzi di riduzione del debito", esacerbando "il conflitto sociale". Nello scenario base il debito di Roma salirebbe al 144% del Pil nel 2030, ma arriverebbe al 147% nel caso di raggiungimento del target del 2%. A Moody's non sfugge inoltre che in Italia e Spagna si registrano "i livelli più bassi di sostegno popolare a ulteriori aumenti di spesa militare". Ma non sono solo Roma e Madrid a faticare. "Senza iniziative di policy come misure di aumento delle entrate, tagli di altri capitoli di spesa o una combinazione di entrambi - scrive l'istituto americano - centrare il target Nato in modo sostenibile entro il 2030 sarà un peso per la solidità di bilancio anche di Francia, Germania e Polonia". Un recovery per la difesa però non può che assumere un carattere straordinario, con investimenti mirati (sulla falsariga del Next Generation Eu o del programma Sure). Le linee guida Nato invece sono strutturali: legge di bilancio dopo legge di bilancio.
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