Debole, diviso, con una maggioranza ridotta all'osso dopo il voto kamikaze dell'8 giugno. E tuttavia in piedi. Il governo di Theresa May passa di misura il test parlamentare sul programma del Queen's Speech, strappando la fiducia a dispetto della sfida dell'opposizione laburista o delle grane in Ulster, e restando in sella (almeno per ora) per portare avanti un negoziato sulla Brexit. Nulla di garantito per un futuro che non sia quello immediato, beninteso. E niente a che fare con quella leadership "forte e stabile" sbandierata in campagna elettorale. Ma i numeri ci sono e per il momento bastano. Alla Camera dei Comuni britannica la scarna agenda biennale messa nero su bianco nel discorso affidato alla voce della regina una settimana fa, incassa il via libera di 323 deputati contro 309: uno scarto di giustezza di 14 voti. La premier e i suoi cantano vittoria, forse per nascondere il sospiro di sollievo. Mentre il leader del Labour, Jeremy Corbyn, e gli altri alfieri dell'opposizione infieriscono su un esecutivo "rattoppato". Pronosticandone, e più ancora auspicandone, la fine prematura. Ma tant'é. L'accordo fra i Conservatori e i 10 parlamentari della destra unionista nordirlandese del Dup, vitale per restituire al partito della May la maggioranza perduta alle urne, regge. Sia sul voto finale sia contro gli emendamenti messi in campo dai laburisti per cercare di fare emergere le contraddizioni della nuova compagine e i contrasti - raccontati ormai tutti i giorni dai media - fra ministri e cacicchi della stessa nomenklatura Tory. Bocciato (con 323 voti contro 297) quello presentato da Corbyn in persona con una strizzata d'occhio ai 'moderati' del partito di governo in favore d'un progetto alternativo di divorzio soft da Bruxelles, tale da mettere "la difesa dell'occupazione al primo posto" e sperare di consentire alla Gran Bretagna di mantenere "gli stessi vantaggi dell'adesione al mercato unico e all'unione doganale". Bocciato nettamente quello più radicale promosso dal liberal Chuka Umunna sul quale peraltro i laburisti finiscono per dividersi fino al siluramento di 4 viceministri del governo ombra. E aggirato anche un terzo emendamento pensato per imbarazzare il Dup con la proposta di garantire alle donne nordirlandesi il diritto di abortire nel resto del Regno Unito, in modo da sottrarsi al divieto d'interruzione della gravidanza imposto in Ulster proprio dagli unionisti protestanti ultrà. Vittorie incoraggianti, nella prospettiva di Downing Street, per un governo di transizione che potrebbe durare alla fine più del previsto. Se non altro per paura e per mancanza di alternative gradite all'establishment. Vittorie di Pirro, confidano al contrario le opposizioni promettendo battaglia. Si vedrà. Di sicuro i segnali dall'interno della compagine conservatrice restano negativi. Tre dei ministri più importanti - David Davis (Brexit), Philip Hammond (Finanze) e Boris Johnson (Esteri) - polemizzano da giorni a mezzo stampa sui termini della trattativa con un un'Ue che certo non pare disposta a fare sconti, al di là dei mezzi sorrisi di oggi fra May e Angela Merkel a Berlino. Per il resto si litiga un po' su tutto, dalla politica sociale a quella economica, fino al superamento o meno dell'austerità sugli aumenti salariali nel pubblico impiego. A confortare May non arriva nemmeno l'accordo dell'ultimo minuto di Belfast per la ricomposizione d'un governo locale di pacificazione nazionale in Irlanda del Nord fra il Dup e i repubblicani cattolici del Sinn Fein. Ci si deve accontentare di una proroga negoziale per provare ad allontanare il riemergere di pericolosissimi focolai di tensione. Puntando magari su una spartizione più equa del miliardo e mezzo di sterline di stanziamenti promessi giusto tre giorni fa da Londra in cambio del sostegno degli unionisti a Westminster.
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