BRUXELLES - L'Europa - non tutta ma quasi - suona la carica contro Budapest per la controversa legge sulla protezione dei bambini, giudicata dalle ong (ma non solo) come lesiva dei diritti Lgbt. La norma, approvata nel 2021, vieta la "promozione dell'omosessualità" ai minori, sui media e nelle scuole, e viene ritenuta responsabile anche dell'aumento in Ungheria dei reati d'odio contro le persone omosessuali. La Commissione Europea ha dunque fatto causa a Viktor Orban. E insieme all'esecutivo blustellato si sono schierati, oltre all'Eurocamera, ben 15 Paesi Ue. Tra i quali però manca l'Italia.
La data limite per prendere parte all'azione legale, nota l'associazione Forbidden Colors, sostenitrice delle adesioni alla causa e tra i promotori di una petizione sul tema, era il 6 aprile e gli Stati che hanno scelto di fare ricorso contro la legge - definita a suo tempo "una vergogna" dalla presidente Ursula von der Leyen - sono Francia, Germania Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria, Finlandia, Svezia, Slovenia e Grecia. Un fatto eclatante poiché si tratta della più grande procedura sulla violazione dei diritti umani mai portata davanti alla Corte di giustizia dell'Ue. E non sfugge l'assenza dell'Italia dalla lista con Azione-Italia Viva che, per voce della presidente del gruppo Raffaella Paita, attacca: "La Meloni continua ad isolare l'Italia schierandosi al fianco di Orbán invece di contrastare la vergognosa legge anti Lgbtq+ insieme agli altri Paesi Ue".
Duro anche il commento di Più Europa: il governo "con Orban verso l'omofobia di Stato", twitta il segretario Riccardo Magi. Secondo Bruxelles la legge viola "i valori europei" e "i diritti fondamentali" degli individui, in particolare delle persone Lgbtiq+. Non a caso è molto simile alla norma contro la "propaganda omosessuale" emanata in Russia poco dopo il ritorno in sella di Vladimir Putin (e che, anche lì, fu causa di un aumento di violenze e repressioni). Di recente il governo ungherese ha presentato un controricorso alla Corte di giustizia dell'Ue sulla procedura d'infrazione aperta contro Budapest e culminata con il deferimento dell'Ungheria alla Corte. Viktor Orban ha fortemente voluto quella legge tanto che, dopo la posizione espressa dalla Commissione, organizzò un referendum per mobilitare l'elettorato a favore della posizione del governo, senza però riuscire a raggiungere il quorum necessario a rendere valida la votazione (la maggioranza di chi andò a votare sostenne però la mozione).
Lo scontro, insomma, è articolato e viene da lontano. "Rimaniamo fermi nel nostro impegno per una società inclusiva e per l'uguaglianza di tutti", ha dichiarato il Ministero degli Affari Esteri del Belgio, tra i primi Paesi a schierarsi contro la legge ungherese. La norma "viola il diritto dell'Ue, i diritti fondamentali e i valori dell'Unione: abbiamo deferito l'Ungheria alla Corte di giustizia europea e spetta ora a quest'ultima pronunciarsi sul caso", ha dichiarato un portavoce dell'esecutivo blustellato (la Corte ha il potere d'imporre modifiche alla legislazione nazionale). "Per noi la questione della protezione dell'infanzia non conosce compromessi, proteggeremo i nostri bambini", ha ribattuto in settimana Péter Szijjártó, ministro degli Affari esteri ungherese. "Non si tratta di una semplice decisione del governo, né di una decisione parlamentare, ma è la volontà del popolo, espressa in un referendum e non conosciamo una decisione di livello superiore in una democrazia. Perciò, ovviamente, ci schiereremo a favore della protezione dell'infanzia e dei bambini ungheresi, indipendentemente dal numero di Paesi che decideranno di unirsi alla causa in corso contro di noi".
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