(di Alessandra Briganti)
Il voto per le europee in
Ungheria potrebbe avere per Viktor Orbán il sapore amaro della
nemesi. Mentre il Vecchio Continente vira a destra,
l'antesignano del sovranismo europeo pare infatti aver imboccato
la via del tramonto. Un risvolto quasi inimmaginabile fino a
qualche mese fa, quando il regime di Orbán, alla guida del Paese
ininterrottamente da 14 anni, viene sfidato da Péter Magyar,
uomo dell'establishment divenuto nel giro di poche settimane
l'astro nascente dell'opposizione nel Paese.
Per comprendere la parabola di Magyar, protagonista
indiscusso delle europee in Ungheria, bisogna riavvolgere il
nastro a inizio anno. Mentre a Bruxelles si consuma lo scontro
sul pacchetto di aiuti all'Ucraina tenuto in ostaggio da Orbán,
a Budapest il regime inizia a scricchiolare sotto i colpi di uno
scandalo che fa cadere le teste di due donne chiave
dell'apparato: Katalin Novàk, ex capo di Stato, e Judit Varga,
ex deputata dimessasi pochi mesi prima da ministra della
Giustizia per correre alle europee come candidata di punta di
Fidesz, partito di Orbán. Lo scandalo scoppia quando
un'inchiesta giornalistica fa venire a galla la storia della
grazia, concessa da Novàk e firmata da Varga, a un uomo
condannato perché complice in un caso di abusi sessuali su
minori. Un terremoto che apre una crepa nel regime di Orbán che
da anni maschera le sue posizioni anti-Lgbt dietro il pretesto
di proteggere i bambini. A nulla valgono le dimissioni delle due
fedelissime del premier, né il giro di vite contro la pedofilia
varato dal governo. La valanga è inarrestabile, ancor più quando
sulla scena irrompe Magyar, dirigente di Fidesz, sposato a Varga
fino al 2023. Magyar tira fuori dal cassetto una registrazione,
fatta all'insaputa dell'ex moglie, che allude al coinvolgimento
di alcuni membri del governo in un giro di corruzione.
Da allora, Magyar dichiara guerra al sistema: esce da Fidesz
e porta in piazza decine di migliaia di manifestanti non solo
nella capitale, bastione delle opposizioni, ma da ultimo anche a
Debrecen, cuore pulsante dell'industria nel Paese e roccaforte
del partito di Orbán. E con la promessa di una "primavera
ungherese", Magyar si lancia nella corsa alle europee con la sua
creatura, Tisza, idealmente collocata nelle fila dei popolari
europei, che diventa in poco tempo il più grande partito
d'opposizione in Ungheria. I sondaggi, quelli più autorevoli e
recenti, suggeriscono che per ora Tisza, dato in rapida crescita
al 25%, stia fagocitando soprattutto i consensi degli altri
partiti all'opposizione. Un aspetto tutt'altro che trascurabile
in un Paese, come l'Ungheria, privo di un leader capace di
catalizzare il dissenso nel Paese. Con Magyar, uomo interno al
sistema, intenzionato a rovesciare quel sistema, Budapest pare
aver trovato il proprio Donald Tusk.
C'è poi l'altra faccia della medaglia fotografata dai
sondaggi. Tisza sembra intercettare anche il voto degli incerti,
circostanza questa che erode in termini percentuali i consensi
di Fidesz, la cui base elettorale, va ricordato, resta solida.
Il partito di Orbán viaggia intorno al 45%, in calo dell'8%
rispetto alle europee del 2019. Se le urne dovessero confermare
questo quadro, per il premier sovranista si profilerebbe la
peggiore performance elettorale dell'ultimo decennio. Con tutto
ciò che ne deriverebbe anche sul piano europeo, dove a una
condizione di isolamento in cui Budapest è precipitata negli
ultimi anni, si aggiungerebbe la percezione di un leader in fase
di declino.
Aspetti che potrebbero pesare sulla presidenza di turno del
Consiglio dell'Ue che l'Ungheria assumerà dal 1 luglio, così
come sulle trattative per l'ingresso di Fidesz nel gruppo dei
Conservatori e Riformisti europei (Ecr) in merito al quale la
premier e presidente dell'Ecr, Giorgia Meloni, ha frenato. E
così il sogno di un'Europa sovranista potrebbe trasformarsi in
un incubo per Orbán. Sempre che il camaleontico leader non abbia
ancora qualche asso nascosto nella manica.
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