Nuovo segretario generale e pacchetto ucraino. Per gli alleati sono i due temi più scottanti da affrontare (e chiudere) prima del summit di Washington, previsto a luglio. La ministeriale informale di Praga serve per cercare di avvicinare le posizioni al livello politico. Dopo, l'ultima occasione disponibile sarà l'incontro dei ministri della Difesa a Bruxelles (14 giugno). E dunque. L'olandese Mark Rutte resta essenzialmente l'unico cavallo in gara, benché la partita non sia stata chiusa. Sull'Ucraina, invece, si sta cercando di mettere insieme "un'offerta forte" per compensare l'ennesima fumata nera sull'invito formale ad entrare nell'Alleanza. "Ora dobbiamo gestire le aspettative: nostre, ovvero di alcuni Paesi, e della stessa Ucraina, per evitare drammi, come a Vilnius", spiega una fonte diplomatica.
Ma partiamo dal nuovo sec-gen. La 'crociata' del presidente romeno Klaus Iohannis - che ha avanzato la propria candidatura per protestare, in parte, contro la logica del caminetto dei grandi Paesi e portare le istanze del fronte orientale nel dibattito - è ormai sostenuta solo dall'Ungheria (Romania esclusa). Un terzo Paese, la Slovacchia, non si è pronunciata. Gli altri 29 alleati sono tutti con Rutte. Iohannis, sostengono diversi diplomatici, mollerà il colpo a giugno, lasciando a quel punto solo Viktor Orban nel ruolo di Bastian contrario. "Da sola Budapest non può reggere", assicura una fonte. "Mi aspetto che si chiuda tutto in tempo per il vertice di Washington: sarebbe il luogo giusto per celebrare l'eccezionale leadership mostrata da Jens Stoltenberg, specialmente negli ultimi due anni, e annunciare il suo successore", ha dichiarato l'ambasciatrice Usa presso la Nato Julienne Smith. Sui timori che la nomina del capo dell'Alleanza possa finire nel gorgo delle trattative per i vertici delle istituzioni europee - c'è chi ipotizza la Nato come risarcimento per Ursula von der Leyen nel caso in cui venisse impallinata dopo le elezioni - l'ambasciatrice glissa. "Possiamo gestire la situazione: noi siamo concentrati sulle nostre procedure".
Bene. Ora passiamo ai nodi veri: l'Ucraina. Non è un mistero che all'interno dell'Alleanza ci siano visioni diverse su come gestire il presente e il futuro per Kiev. Il piano Stoltenberg - 100 miliardi in 5 anni per l'Ucraina e il passaggio del coordinamento degli aiuti militari dal formato di Ramstain a Bruxelles, sotto l'ombrello della Nato - avanza sì, ma non troppo. "L'idea di istituzionalizzare il processo è buona ma sul fronte dei fondi potrebbe non esserci una cifra definita", confida un diplomatico. Una delle ipotesi, infatti, è destinare una percentuale del Pil - o dei bilanci della Difesa - al sostegno dell'Ucraina. "Ma di quale torta stiamo parlando?", obietta una fonte che si mostra molto più pessimista. "Ve li vedete gli Usa legarsi a un piano di finanziamento pluriennale in piena campagna elettorale?". Insomma, lo scenario meno favorevole prevede una sorta di cappello Nato ai vari impegni bilaterali presi sinora dai vari alleati. "Gli Usa stanno per definire il loro accordo con Kiev e dietro andrà tutto il resto", assicura la stessa fonte.
Il rischio, però, è mostrarsi evanescenti, agli occhi di Kiev, di Mosca e persino del Sud Globale. "Dobbiamo lanciare un messaggio chiaro: non ci stancheremo, il Cremlino non ci conti, e non abbandoneremo la difesa del diritto internazionale, lasciando che le grandi potenze prevarichino sulle nazioni più piccole", spiega un'alta fonte diplomatica. Peccato però che la guerra, per l'Ucraina, in questo momento non vada bene. Il rischio è che i russi possano sbandierare qualche vittoria importante proprio a cavallo del vertice di Washington e che nell'Alleanza si viva a quel punto una crisi di nervi. "Sarei sorpreso di vedere soluzioni significative sull’Ucraina: la pressione per spingerla a negoziare inizia a salire ma il fronte deve stabilizzarsi prima e questo non permette nessuna decisione strategica", commenta un alto funzionario del fianco est. "A meno che la situazione non precipiti e questo forzi a rivedere le posizioni. Ma il costo sarebbe altissimo".
Ecco, la ministeriale di Praga forse servirà a fare più chiarezza su un tema cruciale: quanto gli alleati sono disposti ad alzare il livello di scontro con la Russia. Gli alleati discuteranno della situazione sul campo in Ucraina, che desta "molta preoccupazione", e i Paesi più inclini a "fare di più" e "in modo differente" per Kiev proveranno a convincere i più cauti a "rimuovere le restrizioni" sull'uso delle armi. L'intenzione non è quella di favorire "una escalation" ma di "adattare" la strategia difensiva dell'Ucraina, che deve operare in uno scenario diverso poiché la Russia "ha cambiato tattica" nel corso dell'offensiva a Kharkiv. La Francia, dal canto suo, sta per chiudere il suo lavoro e a breve - cerchiare la data del 6 giugno, quando il presidente Volodymyr Zelensky prenderà parte alle celebrazioni dello sbarco in Normandia, dove peraltro è stato invitato anche l'ambasciatore russo - annuncerà la decisione di inviare istruttori militari in Ucraina. Ma è un'iniziativa bilaterale, non se ne parla in ambito Nato (altri Paesi però parteciperanno, si fanno i nomi della Polonia e della Lituania)
Nell'Alleanza, infatti, vige ancora il patto stilato a inizio del conflitto: l'organizzazione non deve diventare parte della guerra. Tuttavia i singoli Paesi restano sovrani e prendono decisioni diverse. Come, ad esempio, sulle restrizioni applicate alle armi che forniscono a Kiev. I più cauti, sul punto, sono gli americani, i tedeschi e gli italiani. Il vento, però, sta cambiando. Resta da capire sino a che punto.
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