(di Michele Esposito)
Restare in partita senza
snaturare la collocazione politica. Tendere la mano alle destre
senza porre l'Italia ai margini dei giochi del potere
comunitario. E' una partita non facile quella di Giorgia Meloni
all'alba della nuova Europa. Le elezioni hanno certificato
l'ascesa dei partiti gemelli di Fdi ma non hanno sovvertito
equilibri che, anzi, le forze europeiste vogliono sedimentare.
Il rischio, per Meloni, è quella di trovarsi davanti ad un
tavolo già apparecchiato: Ursula von der Leyen alla Commissione,
Antonio Costa al Consiglio europeo, Kaja Kallas per il
post-Borrell. Far passare il terzetto senza il sì di un Paese
fondatore, tuttavia, sarebbe un azzardo per i leader Ue. Ed è da
questo dato che il governo può partire per alzare la posta.
Puntando tutto su un commissario che sia vice presidente ed
abbia una delega pesante a Palazzo Berlaymont.
La presidente del Consiglio arriva a Bruxelles con sette ore
di anticipo rispetto al summit informale dei 27. Parte dagli
incontri che hanno tradizionalmente segnato le sue sortite a
Bruxelles. Prima l'ex premier polacco uomo forte del Pis Mateusz
Morawiecki. Poi il premier ungherese Viktor Orban. Infine l'ex
ministro delle Finanze belga, Johan van Overtveldt, dirigente
dei fiamminghi dell'N-Va. Tutti in tempi diversi, fanno ingresso
all'hotel Amigo, a due passi dalla Grande Place, per una
girandola di incontri che, oltre ai top jobs, si concentra sul
futuro delle destre nell'Eurocamera. Il Pis continua a spingere
per l'unione dei gruppi Ecr e Id, tenendo un filo diretto anche
con Marine Le Pen. L'ingresso del solo Orban nei Conservatori
farebbe invece implodere il gruppo: i belgi sono contrari, così
come la delegazione ceca del premier Petr Fiala. La suggestione
di un fronte delle destre unite, tuttavia, resta nell'aria. E
potrebbe avere più o meno densità dopo le elezioni in Francia.
Meloni non è mai intervenuta finora sulla scelta - condivisa
da molti suoi omologhi - di chiudere le nomine entro luglio. In
Ecr non vedono certo di buon occhio l'ex premier Costa,
considerato troppo a sinistra su troppi temi cardine. Avrebbero
inoltre preferito attendere le elezioni francesi e forse un
maggior riassestamento al Pe. In tanti infatti, prevedono (e
auspicano) che il gruppo dei Liberali perda qualche delegazione,
a cominciare da quella dell'ex premier ceco Andrej Babis. Le
trattative per le nomine, tuttavia, viaggiano più veloci. Anche
per questo, Meloni finora non si è mai esposta su nessuno dei
tre candidati. Su von der Leyen i voti di Fdi sarebbero in
teoria già in cassaforte. Ma prima Meloni vuole vedere tutte le
carte, chiedendo una delega di peso per l'Italia nella futura
Commissione. Un portafoglio identitario, come Difesa o
Migrazione. O economicamente influente. Il nome in pole, a
prescindere dal mandato, secondo le indiscrezioni dei palazzi
romani è sempre più quello di Elisabetta Belloni.
La cena dei leader è preceduta da una girandola di incontri
tra i capi di Stato e di governo del Ppe, dei Socialisti e dei
Liberali. E' da questi tre pilastri, tutt'altro che stabili
invero, che i negoziati partono e potrebbero anche chiudersi,
senza quel sostegno delle destre che Socialisti e Liberali
vedono ormai come il Babau. E alcuni episodi non aiutano certo
il governo. "Condanniamo la simbologia fascista, pensiamo che
sia moralmente sbagliata. Siamo molto chiari su questo", sono le
nette parole della Commissione sulla video-inchiesta sui giovani
meloniani. La posizione della premier, in questo primo giro di
poker tra i 27, non può che essere defilata e limitata ad un
bilaterale con il presidente del Consiglio europeo Charles
Michel. A poche centinaia di metri Antonio Tajani semina dubbi
sul profilo di Costa e prova a trainare il Ppe all'apertura ai
Conservatori. Nelle sale dell'Europa Building la co-leader dei
Verdi Ue Terry Reintke ribadisce l'apertura ad una coalizione
Ursula, ma senza Fratelli d'Italia. E l'impressione è che von
der Leyen, con entrambi, mantenga la strategia dei due forni
fino all'ultimo momento utile.
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