(di Michele Esposito)
Silenziosa, a dir poco fredda
per il metodo, ma anche per il merito di questo primo inizio di
negoziazione. Decisa, ad ogni modo, ad ottenere per l'Italia il
massimo possibile nella Commissione europea del futuro. Non è
iniziata sotto i migliori auspici la partita di Giorgia Meloni
nei top jobs europei. Una partita, invero, già abbastanza
delicata, che vede la premier impegnata a un non facile dialogo
con la maggioranza europeista senza però snaturare la
collocazione politica. Accade, poi, che prima del vertice dei 27
vero e proprio i leader negoziatori dei Socialisti vedano gli
omologhi Liberali. E che questi ultimi incontrino, subito dopo,
i negoziatori Popolari. Tutti gli altri, inattesi. Indispettiti,
spiegano fonti qualificate europee. Meloni inclusa.
Il summit, per questa girandola di incontri ristretti,
comincia con un'ora di ritardo. E per la presidente del
Consiglio, si spiega, il dato fotografa un metodo a dir poco
zoppicante. Nel merito, poi, la premier arriva a Bruxelles
consapevole di trovarsi di fronte a un tavolo già apparecchiato,
con Usrula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas. E se
sulla prima, in teoria, Meloni può facilmente assicurare i voti
di Fdi all'Eurocamera, sul secondo qualche dubbio resta nelle
file dei Conservatori. E, come spiega il vice premier Antonio
Tajani, anche nelle file del Ppe. Roma, insomma, non ha alcuna
intenzione di staccare assegni in bianco. Di certo non li
staccherà senza l'assicurazione di un commissario di peso, con
il titolo di vicepresidente. Sul portafoglio regna ancora
l'incertezza. E a ciascun portafoglio corrisponde un possibile
profilo. Daniele Franco, ad esempio, dai rumors dei palazzi
romani viene dato in pole in caso di delega alla Concorrenza.
Elisabetta Belloni, al momento, resterebbe il nome in generale
più gettonato.
Due tavoli si diceva. Quello, scomodo, dominato da Emmanuel
Macron e Olaf Scholz. E quello, apparentemente meno complesso,
delle destre. La presidente del Consiglio arriva a Bruxelles con
sette ore di anticipo rispetto al summit informale dei 27 anche
per questo motivo. Prima vede l'ex premier polacco e uomo forte
del Pis Mateusz Morawiecki. Poi il premier ungherese Viktor
Orban. Infine l'ex ministro delle Finanze belga, Johan van
Overtveldt, dirigente dei fiamminghi dell'N-Va. Tutti in tempi
diversi, fanno ingresso all'hotel Amigo dove alloggia per
incontrare la premier. Il Pis continua a spingere per l'unione
dei gruppi Ecr e Id, tenendo un filo diretto anche con Marine Le
Pen. L'ingresso del solo Orban nei Conservatori farebbe invece
implodere il gruppo: i belgi sono contrari, così
come la delegazione ceca del premier Petr Fiala. E Meloni non ha
dato alcun placet ancora. La suggestione di un fronte delle
destre unite, tuttavia, resta nell'aria.
In Ecr, non a caso, avrebbero inoltre preferito attendere le
elezioni francesi e forse un maggior riassestamento al Pe. In
tanti infatti, prevedono (e auspicano) che il gruppo dei
Liberali perda qualche delegazione, a cominciare da quella
dell'ex premier ceco Andrej Babis. Le
trattative per le nomine, tuttavia, viaggiano più veloci. E,
nonostante la fumata grigio-scura della cena informale,
dovrebbero terminare entro luglio. La cena dei leader è
preceduta dalla girandola di incontri dei negoziatori. E dalla
sensazione, da parte degli altri leader, che ci sia stata "una
mancanza di rispetto", spiegano fonti diplomatiche europee.
Meloni viene descritta da più persone presenti in sala
all'Europa Building come particolarmente silenziosa.
Alcuni recenti episodi non aiutano certo il governo nella
trattativa. "Condanniamo la simbologia fascista, pensiamo che
sia moralmente sbagliata. Siamo molto chiari su questo", sono le
nette parole della Commissione sulla video-inchiesta sui giovani
meloniani. Parole che fanno quasi da sponda a quelle della
co-leader dei Verdi Ue, Terry Reintke. "Siamo aperti" ad una
Commissione guidata da Ursula von der Leyen "ma mai con la
partecipano formale di Fdi", spiega ai cronisti a margine del
summit.
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