(di Michele Esposito)
Tatticismi e veleni sulla
partita dei top jobs dell'Ue. Il day after la cena informale dei
27, conclusasi con una fumata grigia e una scia di malumori, è
segnato dal ritorno della tensione. A duellare, nuovamente, sono
i popolari e i socialisti, i due pilastri di una futura
maggioranza che, al momento, appare segnata ma non stabilissima.
La richiesta del Ppe che il mandato del presidente del Consiglio
europeo (in quota S&D) si fermi a due anni e mezzo prima di un
nuovo negoziato ha indispettito la controparte e seminato più di
un dubbio tra i popolari stessi. Il gruppo è tornato a vedersi
ma l'arrivo di 14 nuovi eurodeputati ha solo parzialmente
mascherato le divergenze sotterranee della formazione guidata da
Manfred Weber. Una, innanzitutto: l'apertura a Giorgia Meloni,
sulla quale il vice premier Antonio Tajani ha rafforzato il suo
pressing.
Le forze di governo in Germania e Francia "hanno perso le
elezioni, non impongano le loro scelte. Bisogna tener conto
dell'esito elettorale, serve aprire le porte della maggioranza a
Ecr, non ai Verdi", ha sottolineato il vicepremier tornando sul
vertice informale di lunedì, dove le riunioni a latere dei
negoziatori di Ppe, liberali e socialisti hanno indispettito non
solo Meloni. L'atteggiamento della componente popolare è stato
"arrogante, vogliono il 75% dei posti col 21% dei voti: devono
imparare a fare di conto", ha spiegato una qualificata fonte
europea. Un'altra ha raccontato dello "shock" comparso sui volti
di oltre una decina di leader per il "tentativo manifesto di
isolare Meloni": un tentativo plateale non solo nelle riunioni a
porte chiuse, alle quali l'Italia non ha partecipato, ma anche
nelle parole tranchant di Donald Tusk e Olaf Scholz sull'estrema
destra.
Il punto è che ci sono due piani di trattativa, uno tra i 27
e uno tra i gruppi politici. E in questo momento i due piani
sono difficilmente sovrapponibili. Escludere Meloni, alla guida
di un Paese fondatore, dall'approvazione del terzetto ai vertici
Ue sarebbe una sgrammaticatura dalle conseguenze imprevedibili.
Ciò rende poco probabile che quanto visto alla cena informale si
ripeta al Consiglio europeo della settimana prossima. E' vero,
al tempo stesso, che l'idea che Fdi voti, all'Eurocamera, quello
stesso terzetto fa traballare non solo la maggioranza Ursula ma
gli stessi popolari. Nei quali, alla linea Tajani, si
contrappone quella di Tusk: il premier polacco non vuole avere
nulla a che fare con chi co-presiede il gruppo Ecr con il
partito arci-nemico del Pis. Ma è il concetto di apertura alle
destre che fa tremare la falange popolare, che da un lato ama
definirsi "un bastione contro gli estremismi" e dall'altro fa
entrare nel gruppo due delegazioni olandesi - Il Nuovo contratto
sociale e il Partito degli agricoltori - che proprio con il
sovranista Geert Wilders si accingono a governare.
"Liberali e Verdi hanno perso. Le persone vogliono vedere il
cambiamento, un altro volto dell'Europa: è un'Europa di
centrodestra per la quale hanno votato", ha sottolineato Weber
che sarà incoronato capogruppo, mentre Roberta Metsola sarà
ufficialmente candidata alla presidenza dell'Eurocamera. La sua
carica dura in teoria 5 anni ma, nella strategia del Ppe, la
seconda metà del mandato potrebbe essere oggetto di negoziato
con S&D in cambio di un 'midterm' anche per il Consiglio
europeo. E sebbene Tusk abbia assicurato che su von der Leyen
alla Commissione, Antonio Costa al Consiglio e Kaja Kallas come
alto rappresentante l'intesa sia "vicina", sull'ex premier
portoghese i dubbi - non solo nel Ppe - continuano a circolare.
Con l'opzione Enrico Letta non del tutto tramontata.
Di questo, certamente, parleranno Elly Schlein e la
capogruppo di S&D Iratxe Garcia Perez nell'incontro di mercoledì
a Bruxelles, nel quale la segretaria dem potrebbe certificare
l'appoggio a un bis della spagnola alla testa dei socialisti al
Pe. Ursula von der Leyen, in questo contesto, è costretta a
muoversi come in una cristalleria. "Il suo nome non è in
discussione", ha ricordato Weber. Ma alzando troppo la posta il
Ppe potrebbe mettere a rischio anche la sua regina.
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