(di Michele Esposito)
Ora tocca a lei. A Ursula von
der Leyen, presidente della Commissione uscente e in pectore
allo stesso tempo, dopo il sì del Consiglio europeo. C'è un solo
passo, il meno agevole, che la separa da un bis sul quale non
tanti, a Bruxelles, fino a poco tempo fa avrebbero scommesso: il
voto della Plenaria dell'Eurocamera. Da qui alla metà di luglio
sarà von der Leyen a gestire la fase meno nobile dei negoziati
per la sua rielezione. Una trattativa che l'ex ministra tedesca
ha intenzione di intavolare sia con i gruppi sia con le singole
delegazioni parlamentari. Non sarà facile, anche perché lo
strappo dell'Italia al summit Ue è destinato a rafforzare la
trincea anti-destre di Socialisti e Liberali. L'obiettivo, per
Ursula, resta lo stesso: blindare la sua conferma e disinnescare
i franchi tiratori senza snaturare il mandato che si appresta ad
iniziare.
Con il gruppo S&D e quello Renew von der Leyen, nei giorni
scorsi, ha già parlato. Entrambi le hanno spiegato che la linea
rossa è l'alleanza con Ecr: in quel caso il loro voto favorevole
verrà a mancare. I due gruppi si muovono partendo da posizioni
diverse: il socialista Antonio Costa, comunque vadano le cose,
sarà presidente del Consiglio europeo. Il destino della liberale
Kaja Kalla è al momento legato, invece, a quello di von der
Leyen. Né i Socialisti né i Liberali hanno intenzione di tendere
una trappola a von der Leyen. Anzi, nei giorni scorsi si sarebbe
mosso Olaf Scholz in prima persona, con Manfred Weber, per
spiegarli di non spingere il Ppe ad alzare troppo la posta
perché in tal modo avrebbe messo a rischio la sua
Spitzenkandidat. Il trend non è cambiato. Una netta apertura a
Ecr troverebbe il cancelliere tedesco altrettanto nettamente
contrario. Una parte dei Socialisti, poi, spingerà ulteriormente
per allargare il dialogo ai Verdi. Si tratta di una strada che
non entusiasma Weber, e sulla quale Antonio Tajani ha più volte
ribadito la sua contrarietà. Tuttavia, i due no e l'astensione
messi sul tavolo da Meloni ai top jobs hanno inevitabilmente
ristretto i margini di manovra di Fi, ovvero dell'unica forza
nel governo italiano a stare nel Ppe.
Gruppi, delegazioni, ma anche singoli eurodeputati. Von der
Leyen, fedele alla tradizione teutonica, andrà dritta per la sua
strada. Chiederà il voto per il suo bis, cercando di bilanciare
il programma che si appresta a compilare. Parallelamente
entreranno nel vivo le trattative per le deleghe nella futura
Commissione. Von der Leyen non vuole un secondo mandato in
continuità: chi già era commissario avrà un portafoglio, gli
stessi titoli e spazi delle deleghe saranno cambiati. La corsa
ai vicepresidenti esecutivi è per pochi ma è serrata: Italia,
Francia, Spagna e Polonia sono in partita. Difficile, tuttavia,
che uno dei portafogli economici non vada a un falco del Nord.
Lo strappo di Meloni, apparentemente, è stato già assorbito
dal gotha comunitario. "Il Consiglio europeo non è un circolo di
tecnici, bensì di politici, tutti con le proprie famiglie
politiche e i propri orientamenti. Quindi capisco il voto della
prima ministra italiana, con cui conto comunque di collaborare
strettamente, così come con gli altri 26", ha sottolineato
Costa.
A Bruxelles, il futuro presidente del Consiglio europeo, von
der Leyen e Kallas hanno avuto il loro primo incontro. Strette
di mano e sorrisi, per questo "touchdown", ha scritto von der
Leyen su X, dove ha assicurato "saremo una grande squadra". Di
certo il nuovo terzetto sarà più affiatato dell'attuale. Von der
Leyen, spiegano fonti europee, ha sempre lavorato benissimo con
Costa, a cominciare dal periodo pandemico. Con Kallas la
sinergia sull'Ucraina, negli ultimi due anni, ha notevolmente
rinsaldato rapporti mai comunque altalenanti. Una volta
incassato il sì di Strasburgo von der Leyen si metterà a testa
bassa a definire programma e Commissione. Prima, tuttavia, è
chiamata all'ultimo capolavoro: far convergere su di lei i voti
di Verdi e meloniani senza siglare alcuna alleanza.
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