(dell'inviato Michele Esposito)
Pace, stop alla migrazione,
nessun supporto militare all'Ucraina, pochissimi margini di
manovra per la Commissione Ue. Le priorità della presidenza
ungherese dell'Ue sono semplici, dirette e hanno un solo
obiettivo: stravolgere lo status quo comunitario nell'attesa
che, a novembre, Donald Trump torni al potere negli Usa. "La
nostra presidenza lascerà il segno e Viktor Orban ne darà una
interpretazione politica", è il titolo che Zoltan Kovacs, uomo
macchina del racconto sovranista magiaro, ha fornito ai media
europei in visita a Budapest per lo start del semestre
ungherese.
Le sue parole non lasciano spazio al compromesso e sembrano
lo specchio del pronti e via che Orban ha impresso alla
presidenza. Recandosi a Kiev per la prima volta dall'inizio del
conflitto. E subito a Mosca, infliggendo un colpo ferale al
potere negoziale di Bruxelles. Tutto è fuori dall'ordinario,
nell'agenda orbaniana. Nei primi giorni della presidenza di
turno di un Paese membro è la Commissione, solitamente, a far
visita al governo in carica. Ad arrivare a Budapest, questa
volta, sono stati solo i giornalisti. "Problemi di agenda", ha
spiegato Kovacs, senza rivelare l'ennesimo coupe de theatre:
l'arrivo al Cremlino, previsto per la giornata di venerdì. "La
pace è il punto numero uno delle nostre priorità. Orban vuole
essere un facilitatore", ha spiegato Kovacs. Pace, fino a un
certo punto, visto che ai cronisti brussellesi viene fatto
visitare uno scintillante Centro della cultura militare, sulle
rive del Danubio.
Del resto, la strategia di Orban è questa da tempo: giocare
su più tavoli, fare a volte il contrario di quello che viene
scandito dai palchi elettorali ungheresi, a patto che sia
lontano dai riflettori. Come il voto favorevole - e mai
preannunciato - dato al socialista Antonio Costa alla guida del
Consiglio europeo. Il tempo gioca a favore di Orban, che si
appresta a guidare la presidenza di turno in un momento di
estrema transizione a Bruxelles. Dove le porte girevoli dei
commissari e i negoziati tra i 27 e tra i gruppi politici stanno
inevitabilmente minando l'incisività di Palazzo Berlymont.
Sul Ponte delle Catene splende il sole di luglio. A Bruxelles
si preannuncia ancora una volta tempesta. "L'iniziativa politica
deve essere nelle mani degli Stati membri, la Commissione non
deve essere politica", ha sottolineato il ministro per gli
Affari Ue Janos Boka.
Più tavoli, si diceva. Uno di questi è l'Eurocamera. Lunedì
Orban potrebbe ufficializzare la nascita del gruppo dei
Patrioti. Ci saranno i cechi di Babis, i portoghesi di Chega,
gli austriaci dell'Fpo. A completare il quadro, probabilmente, i
fiamminghi del Vlaams Belang, i sovranisti danesi e quelli
estoni. Il gruppo Id rischia di essere svuotato. Ma fino a
domenica sera, nessuna decisione sarà presa, neppure dalla Lega:
tutti attendono le mosse post-ballottaggi di Marine Le Pen, che
di Id è la principale azionista. Ma i Patrioti di Orban, con o
senza la struttura di Id a supporto, ci saranno. "Ci saranno
ricadute sulla redistribuzione dei posti all'Eurocamera", è
l'avvertimento di Boka. Ma difficilmente il cordone sanitario
issato dai partiti filo-Ue potrà calare di fronte agli
orbaniani. Bruxelles attenderà la fine del semestre come in una
lunga apnea. Ma dal primo gennaio, con la Polonia alla guida del
semestre, potrà tornare a respirare.
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