(di Mattia Bernardo Bagnoli)
"La Nato è un pilastro di
stabilità in tempi sempre più pericolosi ed è estremamente
importante che rimanga tale. Ma nelle democrazie non si possono
mai dare garanzie. La Nato non è mai stata scontata e non potrà
mai esserlo". Il segretario generale Jens Stoltenberg si
appresta ad aprire il vertice annuale dell'Alleanza, che si
terrà a Washington la prossima settimana proprio per celebrare i
75 anni del patto atlantico. I temi ormai sono ricorrenti: il
sostegno all'Ucraina, il ritorno alla difesa collettiva e i
rapporti più stretti con i partner affini, come l'Unione Europea
e le nazioni asiatiche (Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Sud
Corea). Eppure tra gli alleati si percepisce preoccupazione.
Washington potrebbe rappresentare la quiete prima della
tempesta. Che porta il nome di Donald Trump (o magari Marine Le
Pen).
Nato e Unione Europea sono rimaste sinora unite davanti alla
sfida di Vladimir Putin ma, dopo quasi tre anni di guerra,
s'intravedono spinte centrifughe. Trump promette d'interrompere
il flusso degli aiuti militari a Kiev e mettere subito fine al
conflitto. Come, non si sa. Parigi, qualunque sia il responso
alle urne, si avvia verso un periodo d'instabilità politica. Le
destre sovraniste - e non necessariamente atlantiste -
guadagnano terreno in Europa. Il quadro è dunque complesso. Ma
Stoltenberg resta fiducioso. "Ci sono state preoccupazioni per
l'arrivo di nuovi governi nella Nato praticamente da quando è
stata fondata", confida nel corso di un incontro con alcune
testate internazionali, tra cui l'ANSA. "La Nato però ha sempre
prevalso e mi aspetto che sia così anche in futuro perché è
nell'interesse della sicurezza nazionale di tutti i 32 alleati
rimanere uniti". Usa compresi. "La pace in Europa è a vantaggio
degli Stati Uniti e due guerre mondiali lo hanno provato:
l'isolamento non funziona, ancor di meno in un'epoca di missili
intercontinentali, sottomarini nucleari e cyberattacchi".
Per l'ex premier norvegese questo sarà l'ultimo summit, dopo
quasi 10 anni al comando, prima di cedere il passo all'olandese
Mark Rutte. La sua eredità, in un certo senso, sta tutta nel
pacchetto per l'Ucraina, da lui proposto, che rappresenterà
forse la mossa più concreta e visibile del vertice. Due le
misure principali. Il coordinamento degli aiuti militari (e
dell'addestramento) sotto il comando Nato, con una struttura
apposita, e una promessa d'impegno finanziario pari a 40
miliardi l'anno. Se la prima è stata già approvata, sulla
seconda si negozia ancora. "Il riferimento ai 40 miliardi ci
sarà", assicura una fonte diplomatica alleata. "Ma non sarà
vincolante". In più ci sarà un check già al prossimo vertice
(che sarà in Olanda). Tramonta dunque la dimensione pluriennale
del sostegno, giudicata fino a poche settimane fa cruciale per
dare all'Ucraina la tranquillità strategica necessaria per
combattere la Russia. "Tutti gli alleati hanno problemi con gli
impegni finanziari che vanno oltre le loro procedure di
bilancio", concede il segretario generale.
Stoltenberg si dice ad ogni modo soddisfatto. "È più di
quello che c'è ora e per la prima volta, al livello dei capi di
Stato, vi sarà un chiaro impegno", dice. Inoltre l'accordo
prevedrà l'istituzione di "parametri condivisi" per il calcolo
del valore delle forniture, essenziale per arrivare poi al
principio di "condivisione dello sforzo", che alcuni alleati
vorrebbero legato al Pil di ogni Paese. "Quanto vale un carro
armato? Il prezzo corrente o di rimpiazzo? Sembrano dettagli ma
sono cruciali", aggiunge Stoltenberg. Sul punto - nome in
codice: burden sharing - le posizioni sono ancora diverse. Così
come sul linguaggio da usare per descrivere il futuro ingresso
dell'Ucraina nella Nato: al momento sono in corso feroci
trattative sulla parola "irreversibile". "A volte voi
giornalisti sapete più di quanto dovreste..." sferza il 'sec
gen' tradendo un sorriso. "Il fatto è che siamo 32 alleati, ci
sono processi negoziali che vanno seguiti e questo è il modo in
cui le decisioni vengono prese alla Nato: il vertice, vedrete,
porterà l'Ucraina più vicina all'Alleanza, perché le parole sono
importanti ma lo sono pure le azioni concrete".
Infine, i soldi e gli investimenti. A Washington 23 alleati
(24 con la Svezia) potranno vantare spese nel 2024 sopra il 2%,
a dimostrazione che gli europei non sono degli scrocconi. Per
gli altri - tra cui l'Italia - ci sarà una forte pressione a
presentare piani credibili di crescita, che tuttavia ora sono
facilitati dalla messa a punto dei piani regionali. Insomma, si
sa cosa si deve comprare. Al vertice si concorderà allora un
piano sull'industria della difesa, per spendere insieme e
meglio, "riducendo i costi".
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