(di Michele Esposito)
Saletta protocollare, terzo
piano del principale edificio dell'Eurocamera a Bruxelles. E' da
qui che, dopo gli incontri ufficiali con i gruppi chiamati a
sostenerla, Ursula von der Leyen ha pianificato gli ultimi
contatti prima della settimana cruciale di Strasburgo. Il
traguardo è all'orizzonte, ma i giochi non sono chiusi e la
presidente della Commissione designata non ha voluto lasciare
nulla al caso, arrivando a vedere anche alcuni eurodeputati
singoli per assicurarsi il bis. La vera novità delle ultime ore
è il soccorso dei Verdi. I 53 eurodeputati ecologisti sono
pronti a votarla ma chiedono un documento scritto che certifichi
il loro ingresso in maggioranza con Ppe, Socialisti e Renew.
Sono disposti anche a votare von der Leyen prima di firmare il
documento, ma vogliono garanzie anche sul fatto che l'alleanza
non si estenda a Ecr. Il loro sì è a un passo, ma non è ancora
ufficiale.
Al momento tutto fa pensare che i Conservatori di Giorgia
Meloni non siano in maggioranza. Il co-presidente Nicola
Procaccini ha spiegato che, per ora, non ci sono le condizioni
per dire sì ad Ursula. "L'agenda non è cambiata rispetto a
cinque anni fa", ha sottolineato Procaccini, annunciando che il
gruppo darà alle sue delegazioni libertà di voto. Von der Leyen
li vedrà martedì mattina ma la trattativa con Fdi viaggia anche
su altri canali, quelli che collegano Palazzo Berlymont a
Palazzo Chigi. In Ecr i polacchi del Pis certamente non
voteranno Ursula. Di contro i cechi di Ods, partito del premier
Petr Fiala, si esprimeranno a favore. Fdi fino all'ultimo
prenderà tempo. E non è detto che un suo eventuale voto a favore
sia reso pubblico. Per von der Leyen, del resto, il sostegno di
Ecr farebbe aumentare a dismisura i franchi tiratori nei
Socialisti, in Renew e magari anche nel Ppe. Di contro, anche
l'appoggio strutturale dei Verdi non piace a gran parte dei
Popolari, a partire dalla delegazione di Fi. "Ma il Ppe deve
comprendere che la campagna elettorale è finita", spiegano dai
Verdi. Facendo notare che, in caso di fallimento di von der
Leyen, la responsabilità sarà dei Popolari innanzitutto. E c'è
un fattore, in particolare, che favorisce l'ex ministra della
Difesa tedesca: votarla, per i filo-Ue, significa colpire al
cuore il principale nemico interno del Continente, Viktor Orban.
Il programma di governo a cui sta lavorando la presidente
della Commissione consta di una trentina di pagine. Ogni punto
deve parlare ai diversi gruppi che potrebbero votarla. Il
paragrafo migranti, caro al Ppe, sarà esteso e conterrà anche la
dimensione esterna delle politiche migratorie. Ampio sarà anche
il capitolo del Green Deal, sul quale i Verdi hanno ricevute
solide assicurazioni. Sarà un programma per titoli generici, che
quindi in futuro permetterà a von der Leyen un ampio margine di
manovra. Ci sarà, inoltre, un riferimento ad un commissario agli
Alloggi, chiesto dai Socialisti. A loro la Spitzenkandidat
guarda con un certo timore. Elly Schlein, finora, sul voto
favorevole in Plenaria non si è esposta. E von der Leyen è
andata a cercare garanzie altrove, tra i dem. Ha composto il
numero di telefono del presidente Pd ed ex governatore
dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che ha conosciuto nei
giorni tragici dell'alluvione del 2023.
I Liberali sono anch'essi molto fermi sull'esclusione di Ecr
dalla maggioranza. Anzi, spingono affinché i meloniani non
abbiano neppure una vicepresidenza esecutiva in Commissione. Da
qui a giovedì, quando alle 13 l'Aula voterà, von der Leyen dovrà
muoversi come in una cristalleria. La piattaforma Ppe-S&D-Renew
conta 401 voti, ai quali si dovrebbero aggiungere i 53 dei
Verdi. La soglia minima è 361. I franchi tiratori ci saranno e,
forse, saranno tanti. Il traguardo è lì, davanti a Ursula. Ma
non è scontato.
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