(di Michele Esposito)
La strategia del de-risking
inaugurata dalla presidente della Commissione Ursula von der
Leyen ha sortito i suoi primi effetti alle ultime battute della
legislazione europea che si sta concludendo: dal 16 agosto
entreranno in vigore i primi dazi europei contro il biodiesel di
Pechino. E' in questo contesto che si inserisce il viaggio della
premier Giorgia Meloni in Cina. Un contesto che vede il vecchio
continente e il colosso asiatico mai cosi lontani da un punto di
vista commerciale. Non tutti i 27 in realtà sono su questa
linea: Francia e Germania hanno mal digerito le misure di anti
dumping comunitarie ma la conferma di von der Leyen ha deluso le
aspettative di chi sperava in un ammorbidimento della strategia
Ue verso la Cina.
Il punto di partenza della dottrina del de-risking inaugurata
da Von der Leyen è la perdita di competitività di Bruxelles
rispetto ai giganti americano e cinese. Sarà questa, e von der
Leyen lo ha ribadito nel suo discorso di insediamento, una delle
emergenze che la nuova Commissione affronterà in via
prioritaria. A metà settembre il report di Mario Draghi
indicherà una le possibili vie da seguire: ma una di queste
sembra essere già tracciata e passa necessariamente per misure
anti-dumping contro le aziende cinesi che, con la copertura
statale, vendono prodotti necessari all'Ue.
Il dominio della Cina è evidente innanzitutto nel settore
della transizione e, in particolare, in quello delle auto
elettriche. Nella seconda metà di luglio, a seguito di
un'indagine iniziata alla fine del 2023 sulla base delle denunce
dei produttori europei la Commissione ha annunciato l'
imposizione di dazi antidumping tra il 12,8% e il 36,4% sul
biodiesel importato dalla Cina. Le misure entreranno in vigore e
potrebbero rivoluzionare un mercato da 31 miliardi di euro
all'anno che finora ha visto le aziende cinesi esportare 1,8
milioni di tonnellate di biodiesel all'Ue. Pechino ha reagito
con veemenza facendo sentire tutto il suo disaccordo. Ma già dal
giugno scorso aveva posto le basi per una reazione concreta alla
mossa dell'Ue, mettendo in campo un'indagine antidumping sulla
carne di suino esportata dai paesi Ue,
Ma la strategia del de-risking dell'Ue non è fatta solo di
dazi. Attraverso accordi con uno spettro di Paesi terzi che va
dalla Norvegia agli Stati dell Africa australe Bruxelles sta
provando a uscire dal cule de sac della dipendenza dalla Cina
sulle materie critiche. Finora il 90% delle cosiddette terre
rare utilizzate dall'Ue proveniva dalla Cina. Ma nel giro di
pochi anni von der Leyen vuole ridurre questa percentuale
attraverso l'estrazione di materie critiche in Ue e intese con
Paesi terzi considerati più affidabili.
La Commissione, tuttavia, deve fare i conti con i singoli
Paesi. La Francia e soprattutto la Germania sono commercialmente
legate a doppio filo con Pechino e hanno più volte cercato di
frenare il nuovo trend dell'esecutivo Ue. E Pechino, allo stesso
tempo, in questi mesi proverà a sfruttare il suo principale
alleato in Europa: l'Ungheria, che è anche presidente di turno.
Budapest, mentre l'Ue cerca di allontanarsi da Pechino, ha
spalancato le porte a Xi Jinping e agli investimenti diretti del
Dragone. L'ultima missione di Viktor Orban a Pechino ha
sedimentato un rapporto che per la Cina è sempre più
geopolitico. Un esempio? Nel gennaio scorso Byd, il più grande
produttore di veicoli elettrici al mondo, ha annunciato
l'apertura di un impianto proprio in Ungheria.
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