(di Valentina Brini e Mattia Bernardo Bagnoli)
Prima il 'nein' secco di Vienna,
poi la ribellione di Varsavia. In mezzo, l'imbarazzo di
Bruxelles. La decisione di Berlino di estendere i controlli ai
confini interni a partire dal 16 settembre, per almeno sei mesi,
ha scatenato un effetto domino che fa tremare lo spazio
Schengen, uno dei simboli chiave dell'Europa unita e senza
frontiere. E mentre in Germania volano gli stracci tra governo e
opposizione, la Commissione europea ha messo (delicatamente) in
guardia la coalizione guidata da Olaf Scholf: i controlli devono
essere "proporzionati" e adottati come "ultima risorsa".
Cominciato sotto l'auspicio della partecipazione
dell'opposizione della Cdu - annunciata soltanto in mattinata -
il tanto atteso vertice nella capitale tedesca sulla politica
d'asilo indetto dal governo e dai Laender è terminato con un
nulla di fatto. I cristiano-democratici guidati da Fredrich Merz
alla fine si sono sfilati bollando come "insufficienti" le
proposte della maggioranza rappresentata dalla ministra degli
Interni, Nancy Faeser. "Il governo è spaccato" tra le sue
diverse anime "e incapace di decidere misure concrete", ha
tuonato Merz abbandonando i colloqui e parlando di una vera e
propria "capitolazione" della maggioranza. Berlino, dal canto
suo, aveva messo sul tavolo un piano per accelerare le procedure
di asilo alla frontiera, puntando ad aumentare i respingimenti.
Non abbastanza per la Cdu, che punta a respingimenti immediati e
non soluzioni a metà.
Le reazioni alla linea intrapresa del governo all'indomani
degli attacchi islamisti dell'ultimo mese - e sotto la pressione
dell'exploit di AfD nell'ex Ddr - arrivano però soprattutto da
oltreconfine. "E' un'azione inaccettabile dal punto di vista
polacco", ha attaccato Varsavia, aggiungendo la sua voce a
quella contraria di Vienna che ha subito chiuso la porta alla
possibilità di accogliere nuovi migranti. "Nelle prossime ore
chiederemo ad altri Paesi interessati da queste decisioni di
Berlino di consultarsi urgentemente su come agire all'interno
dell'Ue", ha avvertito il premier polacco Donald Tusk lanciando
un messaggio anche a Bruxelles e alla squadra di Ursula von der
Leyen, che ora cammina sui carboni ardenti. La Germania,
infatti, ha ora riportato i controlli con tutti e nove i Paesi
Ue a lei confinanti ma il codice Schengen prevede regole molto
stringenti sulle limitazioni di uno dei valori cardine dell'Ue.
Come spesso capita in Europa, tutto si gioca sui dettagli. Il
codice Schengen stila una distinzione tra "minacce previste" ed
"impreviste" e a seconda di cosa notifica un Paese si aprono
strade diverse, con i controlli che possono durare da un minimo
di 30 giorni ad un massimo di sei mesi. Prorogabili però in
alcune circostanze fino a due anni. E pare essere la strada
intrapresa da Berlino poiché, stando ad una fonte di un Paese
limitrofo, la Germania ha notificato i controlli - come da
regolamentazione - per una durata minima di sei mesi. Scholz,
dopo la strage di Solingen, aveva d'altra parte promesso che i
controlli alle frontiere sarebbero restati "il più a lungo
possibile". Un piano però che si scontra frontalmente con
l'anima di Schengen, che immagina le misure alle frontiere solo
come "misure di emergenza".
"Stiamo parlando con tutti i Paesi sul dossier Schengen", ha
ribadito la Commissione, ricordando che la proporzionalità "deve
essere valutata, sulla base dei fatti sul terreno". Sta di fatto
che Schengen ad oggi è stata sospesa circa 400 volte a livello
comunitario, con un trend in costante aumento. Il fatto che nel
Brandeburgo il prossimo 22 settembre si tengano le elezioni
ovviamente non è un caso (la questione migratoria si sta
rivelando sempre più esplosiva, politicamente parlando). Infatti
c'è anche chi gioisce. Il leader dell'ultradestra olandese Geert
Wilders, ad esempio. Che ora vuole introdurre i controlli ai
confini interni nei Paesi Bassi per frenare l'immigrazione
irregolare. "Se la Germania può farlo, perché noi non dovremmo?
Per quanto mi riguarda, prima è meglio è", ha detto Wilders.
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