(di Mattia Bernardo Bagnoli)
Non siamo ancora al traguardo
finale ma gli sherpa sono al lavoro. In vista del Consiglio
Affari Esteri di lunedì - in trasferta in Lussemburgo - e poi
del vertice dei leader a Bruxelles del 17-18 ottobre, l'Unione
Europea sta cercando di trovare la quadra per smettere di
balbettare sul Medio Oriente e condannare senza se e senza ma
gli attacchi delle forze israeliane alle postazioni dell'Unifili
in Libano. "Tel Aviv ha oltrepassato la misura", è la sintesi di
un alto funzionario Ue. Ma la decisione ultima, come sempre,
resta in capo ai Paesi e serve l'unanimità.
I "tentativi" per arrivare ad una dichiarazione a 27 di
condanna "sono in corso" ma non sono ancora "completi",
dichiarano infatti all'ANSA diverse fonti europee. Tra le
capitali, è noto, ci sono sensibilità diverse e nelle scorse
settimane non si è riusciti ad arrivare ad una posizione
unitaria sull'operazione di terra in Libano a causa
dell'opposizione di Praga, che giudicava il linguaggio "troppo
netto". Come sempre, quando si tratta dell'Ue, la speranza è
l'ultima a morire. "Possiamo divergere su molte cose, su
Israele, ma non che bombardare l'Onu sia una linea rossa",
spiega un diplomatico. Naturalmente siamo alle parole. Ogni
misura pratica, infatti, è esclusa, perlomeno a livello
comunitario. L'embargo sulle armi - ventilato da Emmanuel Macron
- per avere effetto a livello Ue avrebbe bisogno di una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
oppure di una decisione unanime dei 27. Ed è improbabile, in
entrambi i casi.
Parallelamente, in vista del Consiglio Europeo della prossima
settimana proseguono i negoziati sulle conclusioni da adottare
sul capitolo Medio Oriente, dove si registra consenso a
condannare l'Iran per il lancio di missili contro Israele, molto
meno sul resto. "Le discussioni rimangono complicate, con la
maggior parte degli Stati membri che chiede un linguaggio forte
sulla situazione attuale, in particolare sugli attacchi contro
l'Unifil e le violazioni del diritto umanitario internazionale,
mentre alcuni (pochi) Stati membri vogliono avere un linguaggio
più morbido", spiega un diplomatico. Insomma, la pressione
aumenta e lo sguardo è sempre fisso a quanto accade sul terreno.
Anche perché c'è grande preoccupazione sulla sorte dei due
milioni di sfollati in Libano e il rischio di un aumento dei
flussi migratori verso l'Europa (con un conflitto in corso la
probabilità di meritare la protezione internazionale sarebbe
alta).
Silenzio alquanto sorprendente, invece, dalla Nato. "Non
credo ci sarà tempo per discutere della situazione in Medio
Oriente perché l'Alleanza non ha nessun ruolo diretto", confida
un alto funzionario americano alla vigilia della ministeriale
difesa, che si terrà sempre il 17-18 ottobre a Bruxelles. Vero.
Ma è anche vero che la Nato ha una missione di addestramento in
Iraq, ha recentemente nominato un inviato per i rapporti con il
vicinato meridionale e nel suo Concetto Strategico ha deciso di
adottare "una politica a 360 gradi" sulle sfide da affrontare.
"Ovviamente molti dei Paesi che siedono intorno al tavolo hanno
scelto di impegnarsi diplomaticamente o militarmente e hanno
diversi modi per affrontare la situazione ma non penso che tutto
ciò si tramuterà in una discussione a livello Nato", ha aggiunto
la fonte Usa. Per quanto riguarda il possibile rischio posto
dall'Iran agli alleati, il funzionario ha poi dichiarato: "C'è
molto da discutere quando si parla dell'Iran, del suo
comportamento globale e sul fronte interno. Ma l'attenzione
della Nato tende a concentrarsi sugli aiuti militari forniti
alla Russia per la sua guerra in Ucraina, come droni prima e
missili balistici poi. Oltre questo, l'Iran non emerge con un
argomento di conversazione chiave all'interno dell'Alleanza".
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