La richiesta giunta dal
tribunale di Bologna sull'eventuale disapplicazione del decreto
legge sui Paesi sicuri collegherà idealmente tre città: il
capoluogo emiliano, Roma e Lussemburgo, sede del massimo organo
giudiziario europeo. La Corte di Giustizia è chiamata, in questo
caso, ad una pronuncia pregiudiziale: i giudici europei
rispondono ai dubbi di un tribunale di un Paese sia sulla
validità o interpretazione di una normativa comunitaria sia
sulla compatibilità di una legge nazionale primaria con il
diritto europeo. Ed è quest'ultimo caso a definire l'iniziativa
del Tribunale di Bologna.
La pronuncia pregiudiziale si articola in due fasi. La
prima, scritta, prevede che le parti presentino dichiarazioni
alla Corte, laddove osservazioni possono anche essere presentate
dalle autorità nazionali, dalle istituzioni dell'Ue e talvolta
da privati. Tutto ciò viene sintetizzato dal giudice relatore e
successivamente discusso durante la riunione generale della
Corte, in cui si decide quanti giudici si occuperanno della
causa (3, 5 o 15) e se è necessario il parere dell'avvocato
generale. Nella fase orale gli avvocati delle parti sono sentiti
dai giudici e dall'avvocato generale. Se la Corte ritiene
necessario un parere dell'avvocato generale, questo viene
fornito alcune settimane dopo l'audizione. Dopo la fase orale i
giudici deliberano ed emettono il verdetto.
I tempi, di prassi, non sono rapidi e possono di frequente
scavallare l'anno. Ma la Corte può avviare su un caso specifico
la procedura accelerata o quella d'urgenza. Nel caso della
definizione di Paese sicuro i tempi non saranno brevi ma
potrebbero anche non essere biblici. Il tema è caldissimo e
Bruxelles ha già annunciato una direttiva europea sui rimpatri
ad hoc entro il giugno del 2025. Nel frattempo, sulla
definizione di Paese sicuro continua a valere la direttiva del
2013. Ma la stretta securitaria che coinvolge diversi Paesi
membri potrebbe indurre i giudici di Lussemburgo ad accelerare i
tempi.
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