(di Michele Esposito)
Martedì, all'ora di pranzo,
l'Italia potrebbe aver ufficialmente conquistato la vice
presidenza esecutiva della Commissione Ue. Il traguardo è ben
visibile, la strada per arrivarci tuttavia non è del tutto
sgombra. Raffaele Fitto, il candidato di Giorgia Meloni che
piace a Ursula von der Leyen, non ha convinto i Socialisti. O,
almeno, l'intero gruppo di S&D. Tedeschi e francesi non hanno
abbassato la loro trincea. Il nodo resta quello
dell'assegnazione di una vice presidenza esecutiva a un
rappresentante di un partito che non è nella maggioranza
europeista e che non ha votato, nel luglio scorso, il bis di von
der Leyen.
La numero uno dell'esecutivo europeo si sta occupando in
prima persona del dossier. La settimana scorsa, quando le
candidate Hadja Lahbib e Jessika Roswall erano state
momentaneamente rimandate dalle commissioni del Pe competenti,
von der Leyen si è recata all'Eurocamera e ha parlato a lungo
con loro. Per la presidente ulteriori ritardi non sono
ammissibili: il primo dicembre la nuova Commissione deve entrare
in carica e cominciare a pianificare la strategia europea per
affrontare gli Usa di Donald Trump. Il sudoku delle votazioni
sui candidati, inoltre, sembra blindare il destino di Fitto. Il
candidato italiano sarà esaminato martedì con gli altri 5 vice
presidenti in pectore. L'audizione è prevista alle 9.30, in
contemporanea a quella di Kaja Kallas. Subito dopo toccherà a
Stephane Sejourné e Roxana Minzatu. Chiuderanno la giornata
Teresa Ribera e Henna Virkkunen. Un blitz anti-Fitto dei
Socialisti avrebbe un effetto immediato: una rappresaglia di Ecr
e Ppe su Minzatu e soprattutto su Ribera, entrambe di S&D. A ciò
vanno aggiunti due dati. Fitto è trasversalmente considerato un
uomo del dialogo, non certo un estremista anti-Ue. Il gruppo
Ecr, nelle audizioni dei 20 candidati commissari finora
esaminati al Pe, è stato tra quelli più ligi nel votare la loro
promozione, a prescindere dal partito di appartenenza.
Il tema, come si dice da settimane è però politico.
L'apertura alle destre di Manfred Weber - non solo a Ecr, ma
anche ai Patrioti - ha fatto scattare l'allarme nei Socialisti,
nei Verdi e nei Liberali. Il pericolo di una 'maggioranza
Venezuela' (dal nome della risoluzione su cui si è formata per
la prima volta) alternativa a quella Ursula, è diventato
concreto. A complicare il quadro ci sono le tensioni interne ai
singoli Paesi, a partire dal pressing del leader della Cdu
Friedrich Merz sul cancelliere Olaf Scholz affinché la Germania
torni alle urne. "Fitto non può essere vicepresidente, e la
posizione del mio gruppo a riguardo non è cambiata"; ha
avvertito dal canto suo giovedì scorso il francese Raphael
Glucksmann.
In linea teorica, il candidato italiano potrebbe passare
senza il sì di S&D e con il voto favorevole dei Patrioti,
arrivando così al quorum dei 2/3 necessario. Ma per von der
Leyen si porrebbe un problema politico non da poco: i sovranisti
di Viktor Orban, che hanno Donald Trump come stella polare,
risulterebbero decisivi. Per questo, dalla Commissione è partita
una silenziosa moral suasion nei riguardi di Weber, con
l'obiettivo di frenare qualsiasi sua tentazione di apertura ai
sovranisti, restando invece nell'alveo di una maggioranza "di
centro, e pro-europeista". Il Parlamento, tuttavia in queste
occasioni è solito rivendicare un suo ruolo. Che Fitto sia
costretto al supplemento di esame con le domande scritte non è
escluso, come è accaduto per il candidato commissario ungherese.
La decisione sulle risposte di Oliver Varhelyi alle domande
scritte è attesa per lunedì pomeriggio. E anche da qui si capirà
se, martedì, l'Eurocamera, sarà il teatro di normali tensioni
politiche o l'anticamera del caos.
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