(di Michele Esposito)
Data da cerchiare in rosso: 20
novembre. Obiettivo prioritario: arrivarci con Ursula von der
Leyen ancora in sella. La clamorosa rottura sulle nomine Ue ha
travolto la Commissione, facendo precipitare il timing per
l'incoronazione del nuovo esecutivo comunitario in una nube di
profonda incertezza. Con il passare delle ore i duellanti,
popolari e socialisti, non sono sembrati fare passi indietro e
l'impressione è che, prima della prossima settimana, le cose non
cambino. A smuovere le acque, a questo punto, potrebbe essere
innanzitutto un'iniziativa dei principali leader Ue: da Pedro
Sanchez a Emmanuel Macron, fino a Giorgia Meloni e Olaf Scholz.
Chiamati ad un'intesa politica per una decisa moral suasion sui
gruppi al Parlamento.
Gruppi che appaiono incapaci di ricucire. Arrivare in queste
condizioni a mercoledì prossimo - quando all'Eurocamera si
riunirà la conferenza dei presidenti mentre a Madrid Teresa
Ribera riferirà al suo di Parlamento sulle alluvioni di Valencia
- appare arduo. Se a Roma per Raffaele Fitto si è mosso il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Bruxelles il
problema non è tanto nel candidato italiano. E' nella spagnola
Ribera, e nei popolari che finora hanno seguito la delegazione
iberica nel suo attacco a tutto campo contro la fedelissima di
Sanchez. Fitto, nelle votazioni della commissione competente,
avrebbe i numeri per passare al terzo scrutinio, quello segreto
a maggioranza semplice: passerebbe senza il sì dei socialisti e
con l'appoggio dell'estrema destra, ma passerebbe. Ribera, senza
il sì del Ppe, non ha invece una maggioranza possibile. E tra i
socialisti su un punto non hanno dubbi: "Se salta Ribera, salta
Ursula". A tutto ciò va aggiunto il caso di Oliver Varhelyi, il
candidato ungherese che S&D e Renew vorrebbero depauperato di
alcune deleghe e che è ancora in attesa del responso del Pe alla
sua audizione.
Nel frattempo la maggioranza Ursula continua a spaccarsi in
Aula. Lo ha fatto in occasione del voto sul rinvio delle misure
sulla deforestazione, dove gli emendamenti del Ppe e il testo
finale sono passati con il 'no' dei socialisti e grazie alla
maggioranza Venezuela (popolari, Patrioti, ultradestra di Afd) e
ad una buona fetta di Renew, che ha ottenuto l'accoglimento
delle proprie proposte. Il voto ha ulteriormente avvelenato il
clima. La presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola poco prima
aveva provato a fare da pompiere, ricordando come per la
formazione della nuova Commissione - il voto in Plenaria è il 27
novembre - "c'è ancora tempo" e "l'Aula prende molto seriamente
questa sua responsabilità".
Von der Leyen appare impietrita nel suo silenzio. Ma,
spiegano fonti parlamentari, solo prendendo l'iniziativa
potrebbe tentare di sciogliere l'impasse. Magari con una
dichiarazione nella quale metta nero su bianco che la
Commissione si muoverà nell'alveo della maggioranza fatta da
socialisti, popolari e liberali. Si dovrà muovere Ursula, si
stanno già muovendo i leader. Indiscrezioni parlamentari fanno
riferimento ad una videocall di mercoledì sera - interlocutoria
e dai toni non serenissimi - tra Sanchez, Scholz, Manfred Weber
e Macron. A Monaco di Baviera, domani, ad incontrarsi saranno
Antonio Tajani e lo stesso Weber. Il pressing sul leader del Ppe
per abbandonare a sè stessa l'offensiva del Partido Popular
potrebbe crescere. Restare fermi sulle proprie posizioni
potrebbe costar caro. Ai leader dei gruppi al Pe. Alla stessa
von der Leyen, che mai avrebbe immaginato un riemergere dei
possibili profili a lei alternativi ad un passo dal traguardo.
"Chiunque non sia preoccupato è cieco", è la constatazione che
in queste ore circola nei corridoi del Berlaymont.
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