(di Michele Esposito)
I volti sono scuri, i sorrisi
tirati. Le rivolte interne solo apparentemente sedate. L'accordo
che potrebbe dare il via libera a Teresa Ribera e Raffaele Fitto
segna un passo avanti cruciale perché la Commissione Ursula von
der Leyen bis possa partire, ma poggia su dei piedi di argilla.
L'intesa tra Popolari, Socialisti e Liberali ha prodotto un
documento programmatico comune di due paginette scarse e una
sfilza di malumori interni che emergeranno già nel voto della
Plenaria alla Commissione nel suo complesso. Un voto dal quale
potrebbero sfilarsi i Verdi ma che potrebbe essere blindato dal
via libera di una parte dei Conservatori: quello di Fdi e delle
delegazioni ceca e belga.
A tarda sera, quando a un passo dal traguardo l'intesa è
tornata ad arenarsi e le valutazioni di Ribera e Fitto vengono
temporaneamente sospese, si ha la sensazione di una maggioranza
che, comunque vada, poggerà su piedi di argilla. I rapporti tra
Popolari e Socialisti appaiono ormai travolti da una crisi di
fiducia reciproca. E l'apertura a Fitto continua a non
convincere una fetta di europeisti. Sulla nomina a vice
presidente esecutivo dell'italiano ad imporsi è stata
innanzitutto von der Leyen. Fonti parlamentari raccontano che la
presidente sia rimasta particolarmente scottata dal blitz dello
scorso giugno, quando al Consiglio europeo informale sulle
nomine Giorgia Meloni fu esclusa dal tavolo. Il rapporto tra von
der Leyen e la premier è profondo e, osservano le stesse fonti,
poggia anche sul concetto di leadership femminile tanto caro
all'ex ministra tedesca.
Per von der Leyen l'Italia non poteva restare fuori dai top
jobs all'interno della Commissione. Idea che ha trovato sulla
stessa linea Manfred Weber, ma per motivi sensibilmente diversi.
L'intenzione del leader del Ppe, nonostante il patto di
coalizione, non è cambiata e poggia su due pilastri:
l'inclusione di una parte del gruppo Ecr nell'azione della
maggioranza in Ue e il possibile asse, se e quando necessario,
con le destre europee, Patrioti inclusi. Del resto, spiegano
fonti del Ppe, l'accordo scritto di coalizione non preclude
formalmente alcun allargamento a destra della maggioranza. "Non
ne esistono di precostituite in Europa", avvertiva il meloniano
Nicola Procaccini a trattativa ancora in corso.
La conseguenza, tuttavia, potrebbe essere quella di una
instabilità costante. I Verdi, che avevano votato von der Leyen
a luglio, dal Ppe non sono stati mai considerati parte della
maggioranza. Non hanno votato Fitto e sono destinati a spaccarsi
nel voto sulla Commissione del 27. All'interno dei Socialisti è
in atto una mini-rivolta delle delegazioni tedesca, francese e
olandese che fa apparire meno salda perfino la leadership di
Iratxe Garcia Perez. Tutte e tre le delegazioni, per motivi
diversi e legati innanzitutto ai contesti nazionali, sono
convinte che non si può allargare la maggioranza ad una forza
"post-fascista", ovvero a Fdi. "L'importante è riaccendere i
motori della maggioranza europeista di luglio poi sappiamo che
ogni giorno sarà battaglia", spiegano fonti socialiste dando il
senso di quella che è solo una tregua armata con il Ppe.
Tra i popolari i polacchi e i greci non hanno visto di buon
grado l'abbraccio di Weber alla trincea anti-Ribera del Partido
Popular. "Non abbiamo fatto una bella figura", è il refrain dei
più scontenti nel Ppe. A tarda sera, del resto si navigava
ancora a vista. Fuori infuriava una tempesta di neve. Dentro si
attendeva un via libera finale tra i sorrisi ironici degli
eurodeputati. La battaglia è solo rimandata a mercoledì
prossimo, in occasione del voto finale della Plenaria.
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