(di Michele Esposito)
Ursula von der Leyen ha ottenuto
tutto ciò che aveva previsto. E' riuscita tenere a bordo
l'Italia di Giorgia Meloni senza perdere di vista una coalizione
europeista e costruendo una Commissione che, rispetto alla
precedente, è nettamente a sua immagine e somiglianza. Il 27
novembre, con il voto della Plenaria, il nuovo esecutivo potrà
partire. Eppure, sarà in quell'occasione che emergerà l'altra
faccia della Commissione von der Leyen bis. La maggioranza che
la sosterrà, infatti, rispetto al luglio scorso apparirà
sensibilmente cambiata: senza i Verdi ma con Fratelli d'Italia.
E con l'incognita delle defezioni interne ai Socialisti.
Il day after del faticosissimo accordo che ha portato, per la
prima volta da anni, a confermare per intero tutti e 26
candidati commissari è stato segnato da distinguo, mugugni,
equilibrismi. L'intesa che ha blindato Raffaele Fitto e Teresa
Ribera resterà, per diverso tempo, mal digerita. Le clausole
che, da un lato i Socialisti e dall'altro il Ppe, hanno voluto
aggiungere alle lettere di missione di Fitto e Ribera hanno
rappresentato l'ultima coda di veleni tra due forze che appaiono
sempre più lontane. La cooperazione tra le tre aree (con i
Liberali) filo-Ue che ha caratterizzato finora l'azione
comunitaria non sarà più solida prima. E il documento
programmatico siglato dalle tre forze europeiste non preclude
eventuali nuove aperture del Ppe alle destre.
Mercoledì mattina a Strasburgo la Conferenza dei presidenti
dei gruppi ufficializzerà il voto alla Commissione nel suo
complesso per le dodici. Von der Leyen, nel frattempo, terrò il
suo secondo discorso programmatico - dopo quello di luglio -
all'Aula. E dovrà pesarlo bene perché ogni parola può voler dire
un voto favorevole confermato o perso. Sia chiaro: a meno di
colpi di scena al limite della fiction von der Leyen e la nuova
Commissione non corrono alcun rischio. Per essere confermati
dalla Plenaria basta la maggioranza semplice dei voti espressi e
non il quorum di 361 richiesto nel voto alla presidente nella
sessione di luglio. Ma, pallottoliere alla mano, è quasi certo
che la maggioranza Ursula ne uscirà nettamente ridotta. I Verdi
sono a un passo dall'ufficializzare quel voto contrario che la
delegazione italiana del gruppo ha già formalmente annunciato.
Il M5S e The Left hanno parlato di "democrazia calpestata". I
Socialisti francesi, se manterranno quanto anticipato nelle
scorse ore, voteranno anche loro contro. E il dissenso interno
al gruppo S&D potrebbe allargarsi a tedeschi e olandesi.
Azzoppando, così, la leadership della spagnola Iratxe Garcia
Perez.
Il Pd ha sempre mantenuto un basso profilo, senza mai esporsi
troppo. Il capodelegazione Nicola Zingaretti si è detto
fiducioso che i Dem votino "compatti" per Ursula e ha definito
"ridicole" le accuse di Fdi di non difendere gli interessi del
Paese schierandosi apertamente con Fitto. "Ora dobbiamo vedere
se Meloni sceglierà di stare con Trump, con Musk o con l'Unione
europea", ha incalzato Zingaretti. Fdi, dal canto suo, sostiene
che non ci sono maggioranze precostituite in Europa. Meloni
punta alle maggioranza variabili, magari sfruttando la sponda
del Ppe sui dossier cruciali per l'Italia. Ma è anche vero che,
mercoledì, Fdi entrerà formalmente nella maggioranza a sostegno
di von der Leyen. In Ecr potrebbero seguirla le delegazioni cece
e belga. I polacchi del Pis difficilmente lo faranno. E chissà
se l'allargamento non debordi ai Patrioti. Fidesz, ad esempio,
ha un suo commissario nell'esecutivo scelto da von der Leyen.
Mentre la Lega ha già annunciato che si smarcherà. "Nel
centrodestra ci sono sensibilità diversa e noi non siamo la
stampella di nessuno", ha sottolineato Paolo Borchia.
L'avvertimento, dalle parti dei meloniani, non passerà
inosservato mentre per von der Leyen quella quota 401 che la
incoronò in estate è destinata a restare un'utopia.
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