L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone è alla guida dal Comitato Militare della Nato da nemmeno 15 giorni eppure si avverte già un'aria diversa tra i corridoi del quartier generale di Bruxelles.
Non ha dubbi che il 2% "non basterà più" per fronteggiare le sfide dell'Alleanza ma, allo stesso tempo, chiede "un esame di coscienza" perché, oltre a spendere di più, si potrebbe "spendere meglio". Quindi la zampata 'mediterranea': "Si deve andare urgentemente oltre il 2% ma con tempi e modi che ciascun Paese stabilirà in base alla propria situazione, perché rimangono nazioni sovrane".
Cavo Dragone - nel corso di un'intervista all'ANSA - si dice convinto che i fondi al momento non siano impiegati al meglio, complice un'industria della difesa europea "frastagliata" e non competitiva perché "non ha percepito la gravità della situazione". Non è una posizione ortodossa. L'ammiraglio allora allarga le braccia. "I grandi proclami - spiega - sono inutili se non si fanno i conti con le capitali". Che per l'appunto devono approvare gli stanziamenti nei loro bilanci.
Quindi senz'altro servirà uno sforzo maggiore ma non ci si deve limitare ai quattrini. "Le industrie europee dovrebbero rinunciare a una parte della propria sovranità per fare un passo indietro e andare verso programmi congiunti che possono dare sicuramente risultati migliori, da una parte, ed economie di scala, dall'altra", aggiunge. Ed è quindi l'appello che rivolge ai leader dell'Unione Europea, che lunedì si ritroveranno a Bruxelles per dibattere il futuro della difesa blustellata. "Da soli si va probabilmente più veloci - chiosa - però tutti insieme si va più lontano: bisogna abdicare un pochettino alla sovranità nazionale per il bene comune".
L'impulso politico è cruciale perché il comparto industriale sinora non ha reagito brillantemente. "Un chiaro impegno pluriennale da parte dei governi certamente aiuta a pianificare gli investimenti ma l'industria, dal canto suo, deve far parte del sistema della difesa e non può essere esclusivamente indirizzata al guadagno", puntualizza. "Non è che siccome aumentiamo le spese - avverte - allora ciò che costava uno magicamente poi costa due perché non è così che si va avanti". Quindi, concretamente? "Per esempio un ritorno dell'investimento a dieci anni e non a tre: potrebbe essere un buon segnale, no?".
Il rapporto tra Nato ed Unione Europea sarà sempre più determinante proprio per poter far leva sulle specificità di entrambe, "perché la direzione in cui andiamo è la stessa" e il pilastro europeo della Nato è nell'ordine delle cose, dato che gli Usa al momento sono troppo sbilanciati e i pesi vanno "ridistribuiti". "Il presidente Donald Trump su questo ha ragione. Peraltro, se gli Stati Uniti si ritirassero ora l'Europa sarebbe in grado di reggere lo sforzo? La risposta è no, assolutamente no". Cavo Dragone poi non vede assolutamente alcun problema di duplicazione delle strutture tra Ue e Nato quando si parla di "autonomia strategica", così come immaginato da piano sulla difesa comune.
Entro il 2025, infatti, l'Ue dovrà mettere a terra la Forza d'Intervento Rapido (5mila uomini) che darà a Bruxelles, per la prima volta, la capacità d'intervenire in teatri di crisi come Unione. "La Nato - sorride - è in grado di comandare 500mila soldati in alta prontezza attraverso i suoi centri di controllo". Insomma, due campionati diversi.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA