Sulla giacca nera di pelle
risaltava particolarmente, quasi luccicava, la sciarpa rossa
della Triestina che portava al collo. Quando uscì dal corridoio
degli spogliatoi sul manto verde dello stadio Rocco la folla -
già convinta che fosse un eroe, il più grande di sempre - cadde
in visibilio: l'inarrivabile Pelè come uno dei nostri. Era il
1993, il fuoriclasse aveva 52 anni, avrebbe forse ancora potuto
dire la sua in campo, ma non era venuto per giocare tra i
'greghi' bensì per presentare la Copa Pelé 93, il IV Mundialito
Masters football Austria/Italy, un campionato tra Trieste e
Klagenfurt da disputare in luglio cui partecipavano giocatori di
più di 40 anni di otto squadre nazionali divise in due gironi
(Austria, Germania, Uruguay e Argentina; Olanda Inghilterra
Brasile e Italia).
La 'perla nera', ambasciatore mondiale del calcio, da buon
carioca sentì le vibrazioni della tifoseria italiana e si diede
a qualche corsetta, a una rincorsa con calcio al pallone
lanciato sugli spalti; infine, avvicinatosi alla rete che
impediva agli spettatori di invadere il campo, si trattenne a
firmare decine di autografi e a scambiare qualche parola. Al
termine della presentazione del torneo, sorridente e parlando in
italiano, aveva concesso un'intervista ai microfoni della Rai.
Quello del Mundialito è "un calcio senza pressione, l'intenzione
è divertirsi. Io penso che è una buona opportunità per venire
allo stadio" si vedrà "un calcio bello, pulito". Affianco a lui,
uno già stempiato Franco Causio, capitano degli azzurri,
contento che il torneo si sarebbe disputato in Italia.
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