(di Francesco De Filippo)
"Forse i manicomi torneranno a
esistere, forse saranno chiusi ma noi abbiamo dimostrato che
esiste un modo diverso di assistere i malati, e la testimonianza
è fondamentale". Giovanna Del Giudice, psichiatra snocciola a
memoria la frase di Franco Basaglia, del cui gruppo faceva
parte. Su a San Giovanni, nella parte alta di Trieste, negli
anni della "rivoluzione", in questa città già tormentata da
cento anni di guerra, il più matto degli psichiatri riuscì nella
impossibile impresa concettuale prima e materiale poi, di
distruggere i manicomi, slegare i matti, liberarli da cento anni
di psichiatria fatta di contenzione ed elettrochoc, e farli
uscire.
Sfondarono i cancelli e dietro l'equino azzurro di cartapesta
Marco Cavallo scesero in città insieme con i medici, più
allegri, esuberanti e disorientati di un'armata brancaleone.
Difficile capire se fosse più spaventata la gente o i matti,
catapultati nello sfavillante mondo della libertà.
Giovanna Del Giudice parla di "un nuovo umanesimo", di uno
sguardo diverso sul mondo, e della "restituzione dei diritti ai
molti che, una volta riconosciuti istituzionalmente come matti,
li avevano persi". Un nuovo paradigma di pensiero, non un nuovo
modello terapeutico. L'11 marzo prossimo cadranno i cento anni
della nascita di Basaglia, il mondo lo ricorda, l'Italia un po'
meno, sebbene ne abbia scolpito le indicazioni sanitarie (e
filosofiche) nella pietra della legge, la n.180 del 13 maggio
1978 che porta il suo nome. Quella norma impose la chiusura dei
manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio
istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Lo ricorda
Trieste, che l'ha amato e l'ha odiato, dando la prima impronta
politica all'intera rivoluzione. Michele Zanetti, presidente
(democristiano) della Provincia di Trieste dal 1970 al 1977, fu
la "sponda" politica. Senza di lui la rivoluzione avrebbe preso
altre strade. E ricorda che "all'epoca il Piccolo combatté
duramente la (sua, ndr.) giunta e l'esperienza di Basaglia. Non
c'è stato nessun sostegno ma solo molti attacchi". E oggi? "Oggi
la politica sembra retrocedere", è la stessa "intenzione dei
responsabili della salute a Trieste e Gorizia", precisa con
amarezza Zanetti. Anche nel resto d'Italia.
Gli scaffali delle librerie si piegano sotto il peso dei
volumi vergati sull'altro, sul diverso, e sulle paure che questi
esercitano su di noi, normodati dalla parte giusta della
barricata. Dunque, non sorprende l'ostracismo che ancora oggi si
leva davanti alle opere e al pensiero di Basaglia,
prematuramente scomparso all'età di 56 anni. Ma restano quei
nuovi individui degni di diritto e la convinzione che la
malattia mentale si può e si deve curare.
Lo sintetizza bene chi quell'eredità l'ha scelta e se l'è
accollata. Cristina Montesi, medico internista medicina del
territorio tra Trieste e Milano, basagliana di seconda
generazione, "i principi di cambiamento della psichiatria
mediati da Basaglia si sono riversati sui servizi territoriali
verso una medicina della personalizzazione, una medicina del
reale, contro la spersonalizzazione che può incontrare in una
dimensione ospedaliera". L'assunto è semplice: "L'ospedale non
si chiede da dove viene una persona, il territorio sì: ha una
capacità di osservare con una dimensione di prossimità i bisogni
delle persone, anche sociali, culturali. Perché la medicina è
radicata nella comunità, è una visione di attenzione
all'esistenza delle persone".
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