La vicenda si è risolta nell'arco di poche ore e non è nemmeno assurta al prestigio di un problema, ma il risvolto sociale rimane e il mondo politico si sta interessando anche con l'obiettivo di una regolamentazione per legge, come hanno fatto altri Paesi. La scorsa settimana una bimba di dieci anni che frequenta la quarta elementare di una scuola di Pordenone, è arrivata in classe vestita con il niqab, il grande velo di colore scuro utilizzato da alcune donne musulmane che in questo modo si coprono interamente il corpo, esclusi gli occhi, per i quali è prevista una fessura.
La maestra l'ha fatta entrare in classe per non farle perdere un giorno di scuola ma ha detto ai genitori che doveva sostituire il niqab. Il giorno dopo la piccola è arrivata a scuola con l'hijab, foulard che copre i capelli. La notizia si è diffusa ma per oltre una giornata non era chiara quale fosse la fonte e dunque se il fatto fosse vero. Infine, un gruppo di genitori si è intestata la paternità senza spiegare le ragioni per cui avevano reso noto la vicenda, precisando che la bambina è nata e cresciuta in Italia e che "è bastato l'intervento della maestra perché il niqab venisse sostituito dall'hijab". Peraltro, "per quell'unico giorno è rimasta in classe con il volto coperto e per i compagni è stato una sorta di gioco. Dalla mattina seguente nessuno è mai più tornato sul discorso", ammettono i genitori, segnalando che "la maestra ha sempre agito con saggezza e anche con grande discrezione".
Tuttavia, prescindendo dai sommovimenti della cronaca, resta il fenomeno che si porrà in modo pressante. Anni fa la politica si era dovuta occupare dei documenti personali, nella cui foto la persona deve essere riconoscibile, ma forse non della scuola. La vacatio andrà in qualche modo colmata, per il momento le norme sulla scuola prevedono che non si possa entrare in aula con caschi o in modo da non essere riconosciuti. Troppo poco.
Se il Pd per bocca della segretaria Fvg Caterina Conti sottolinea che "nascondere il volto delle donne, fin da bambine, significa togliere loro la dignità di persone, renderle 'cose' sottomesse alla potestà degli uomini", a cavalcare l'onda è invece la Lega. Il senatore e coordinatore Fvg del Carroccio, Marco Dreosto, il primo a occuparsi del caso di Pordenone, questo pomeriggio è già al lavoro con la sindaca di Monfalcone (Gorizia), Anna Maria Cisint, Lega, che ha già varato "una circolare sul divieto" del niqab "per gli uffici pubblici e stiamo vedendo l'eventuale possibilità di estensione della norma alla scuola". Per Dreosto "è una questione che per quanto concerne i luoghi pubblici riguarda in primis la sicurezza ma che sulla scuola va portata avanti perché vengono meno i principi del minore" e il divieto è a "tutela della dignità delle donne". "Ci stiamo lavorando con il legislativo qui e poi la porterò giù a Roma per confrontarmi anche con gli uffici in Parlamento" e presentare la proposta che "sarà a mia prima firma", ha annunciato. L'Ufficio scolastico regionale per bocca della direttrice generale, Daniela Beltrame, ha fatto sapere che non ci sono in corso accertamenti sul caso e che non sono giunte segnalazioni.
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