(di Paolo Petroni)
A proposito di Mirandolina, la
''Locandiera'' goldoniana, a un certo punto si è pensato che
''al posto della bonimia, del benpensantismo, della civetteria,
del garbo, della misura'' fosse meglio leggere ''ambiguità e
sesso, psicologia e denaro, lacerazioni esistenziali e
dialettica di classe'', come scriveva nelle sue Note di Regia
Mario Missiroli nel 1972, usando parole che ben si adattano
anche all'allestimento che ora firma Antonio Latella e che, con
Sonia Bergamasco protagonista, prodotto dallo Stabile
dell'Umbria, ha debuttato applaudito al teatro Argentina, dove
si replica sino al 28 aprile, andando poi in tournée. Certo,
al posto dei vari spazi della vecchia locanda délabré piena di
oggetti e utensili, luogo realistico d'un tempo passato in cui
accade il nuovo, di quello spettacolo di giusto 50 anni fa, per
Latella Annelisa Zaccheria costruisce una scena unica,
essenziale, odierna e spoglia dove il gioco delle parti del
Conte, del Marchese e del Cavaliere con Mirandolina e Fabrizio
sembra volerlo presentare come la dimostrazione di un teorema,
con quel tocco naturalistico costituito dal cibo cotto in scena
e il cui profumo si spande per il teatro. Più moderna e
complessa, più psicologicamente giocata anche nelle sue
insicurezze e volere e non volere rinunciare alla propria
sbandierata indipendenza e sposarsi l'uomo, pur amato, ma scelto
dal padre, per non apparire indifesa davanti al mondo e alla
propria voglia femminile di sfidarlo, è la locandiera
ottimamente resa da Sonia Bergamasco. Il meglio lo dà forse
proprio nelle diverse sensazioni al momento di darsi a Fabrizio,
del cedere ma cercando di restare se stessa, mentre nel ricordo
era ben più rigida e fredda nel suo raziocinare sul proprio
agire, meno seducente, quella, allora, di Annamaria Guarnieri,
con Fabrizio che alla fine dava dei giri di chiave alla porta
della locanda, come ha sottolineare la situazione oramai di
prigioniera della donna. In questa modernità, nella maggiore
complessità di Mirandolina, che rispecchia poi il testo di
Goldoni, col suo cedere psicologicamente ma mai fisicamente,
interessata certo al denaro ma mai da ottenere a qualsiasi
condizione, anzi pronta a rifiutare regalie con cui vorrebbero
comprarla, ma abilmente poi disposta a cedere (''per non
disgustare il signor Conte, gli prenderò'') in maniera da non
dover nemmeno ringraziare, mostrandosi costretta dal non far
arrabbiare un cliente. E più garbatamente moderna e coinvolta
non solo programmaticamente nel modificare il rapporto solo
economico materiale che il Cavaliere di Ludovico Fededegni ha
con lei, incrinando ogni difesa di quell'uomo che odia le donne
e cadrà poi nella sua rete con fin troppo poco ritegno. Una
modernità che viene riproposta anche nei costumi (di Graziella
Pepe), ma di cui non si capisce la sciatteria, con quelle
giacche su pantaloni da tuta o gli infradito ai piedi quando non
gli stivaletti di Mirandolina con tacco davanti e dietro.
Comunque ecco che settecentescamente la nuova borghesia
bottegaia e imprenditoriale vince e fa fuori la nobiltà decaduta
del vischioso Marchese di Giovanni Franzoni o quella boriosa e
arrogante del Conte di Francesco Manetti come accade nel teatro
per molti versi rivoluzionario di Goldoni, maestro di dialoghi,
qui meritoriamente riproposti nella loro integralità, tuttora
vivi e ben ritmati con cui rivelare le sfaccettature dei
personaggi. Latella carica teatralmente di comicità le figure
maschili, in parte anche quella del Fabrizio di Valentino Villa,
a contrasto con l'umanità di Mirandolina, e ne sottolinea il
ridicolo anche con la risata complice e genuinamente rivelatrice
delle due commedianti (Maria Cortellazzo e Marta Pizzigallo),
attrici che non riescono a fingere sino in fondo nella vita, ma
anche loro sanno bene come rigirarsi gli uomini.
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