"Ci sono momenti nella vita che
valgono più di centro libri e di mille sermoni e io per uno di
questi momenti ci sono passato". Spiega così Carlo Delnevo, al
sua decisione di avvicinarsi all'Islam dopo la morte in Siria
del figlio Giuliano, giovane genovese convertito alla guerra
santa e ucciso mentre combatteva con i ribelli contro le milizie
di Bashar el Assad.
Una conversione, resa nota per primo dal Corriere mercantile
di Genova, e sulla quale Delnevo non vuole attirare troppa
attenzione mediatica. "E' una questione privata e personale e
non ho intenzione di alimentare la grancassa mediatica", dice in
un colloquio telefonico con l'Ansa, giudicando "grave" che un
parte dei media faccia l'equazione 'Islam uguale terrorismo'. Ma
che cosa direbbe ai ragazzi che in nome dell'islam partono
dall'Italia e dall'Europa per unirsi a guerre in Iraq?
"Per me l'Islam è i suoi cinque pilastri (accettazione
dell'unicità di Dio, la preghiera quotidiana, l'elemosina, il
pellegrinaggio alla Mecca e il digiuno nel mese sacro di Ramadan
ndr). Odio la violenza e la guerra. Sono un pacifista -
sottolinea Delnevo - e concordo con chi dice, molto criticato,
che dare armi a chi combatte è come curare un diabetico col
glucosio". Ai ragazzi che partono in nome dell'Islam Carlo
Delnevo direbbe, quindi, di "non partire". "All'inizio quando si
trattava di rovesciare un tiranno sanguinario come Assad, quella
guerra si poteva paragonare a quella guerra franchista del
1936-39 quando tanti italiani partirono per unirsi a quella
guerra. Ma ora la situazione è così confusa, non si capisce più
nulla".
"Direi loro 'rimanete in Italia, portate avanti il vostro
messaggio con la forza dell'esempio, non con la vostra vita. La
vita è preziosa", dice Delnevo.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA